Ieri è scoppiato il caso del vaccino Astrazeneca. Sono stati osservati alcuni decessi collegabili a questo vaccino. Non ho voluto fare commenti tanta fu la sorpresa e le implicazioni conseguenti. Oggi si cominciano ad avere alcuni riscontri. La decisione di sospendere la vaccinazione con Astrazeneca è stata rapida perché concordata con Germania, Spagna, Francia, con comunicazioni controverse tra politici e comitati scientifici e tra loro stessi. Bene ha fatto il governo a sospendere le vaccinazioni per accertare i fatti. Qualche risposta c’è già oggi. L’autopsia ha definito un decesso determinato da un infarto e non da trombosi cerebrale. Che in Europa ci sono più di 540.000 casi di trombosi cerebrale al giorno al di fuori dal fenomeno Covid. Che in Gran Bretagna, nonostante 15 milioni di somministrazioni di vaccino Astrazeneca non sono stati segnalati casi. Forse perché non sono stati ritenuti pertinenti, così come non è pertinente la morte di un vaccinato se perisce in un incidente. Mi auguro che le evidenze mediche assolvano Astrazeneca e si possa ripartire con le vaccinazioni.
Un danno rilevante c’è stato, è stata minata la fiducia sui vaccini in generale con conseguenze imprevedibili. Ho letto: nel 2014 ci fu un’analogia con un vaccino antinfluenzale che ha dimezzato le vaccinazioni di quell’anno. Ci sono voluti quasi 5 anni per il ritorno alla normalità. Non nego che anch’io sono perplesso e condivido le precauzioni con cui viene trattato il caso. L’esito negativo sarebbe una calamità per la soluzione sanitaria con i suoi morti e ancor più per la situazione economica. Aspettiamo con fiducia le conclusioni degli enti preposti e poi una informazione corretta, veritiera ed efficace a limitare il danno fatto alla fiducia della popolazione.
Oggi ho una curiosità: la Paola, mia figlia, ha trovato il testo di un raccontino di un vecchio signore che parla dei suoi tempi. Ve lo propongo perché lo compariate ai miei raccontini capendo quanto sono veri. Di Martino BALESTRERI.
In casa di mia madre, negli anni venti, erano in undici, tra genitori nonni, fratelli e sorelle. Mio nonno faceva il sarto, tagliava e cuciva tabarri. Povertà assoluta. In quella di mio padre erano in sei, un figlioletto nato il giorno di Santo Stefano del 1905, morì dopo pochi giorni, di freddo. Mio nonno paterno, Erminio, dal maggio del 1915 era in guerra, mentre mia nonna a casa si occupava dei figli e faceva la postina, in sostituzione del marito al fronte. Il giro della posta era lunghissimo, la corrispondenza era tantissima e la consegna, anche nelle cascine più lontane, avveniva in bicicletta, tutti i giorni dell’anno, in qualsiasi condizione di tempo. La polenta era l’alimento principale e la pellagra la faceva da padrona. Tubercolosi, poliomielite, tifo, Spagnola e tanta tanta fame. Non c’era l’energia elettrica e, raccontava mio padre, nemmeno il riscaldamento, nelle camere da letto ci si scaldava con il “prete” e le braci. A scuola si andava a piedi, con zoccoli di legno, un libro, due quaderni e la penna col calamaio, la matita. Solo i bambini più benestanti potevano permettersi di portare qualche pezzo di legna per alimentare la stufa in aula, altrimenti si stava al freddo … Poi ci fu un ventennio di dittatura, privazioni, guerra, morte, distruzione e miseria…
Vogliamo fare il cambio col lockdown?