Cos’è il Gulag: è un non luogo! Che nascondeva al mondo la tragedia di milioni di persone. Erano prigioni sperse nel profondo nord della Russia, nelle desolate foreste della Siberia, costruite per ospitare gli oppositori del regime, il comunismo. L’artefice fu Stalin, che doveva far sparire qualsiasi opposizione al suo regno.
L’autore ne fu ospite per lunghi anni, durante i quali raccolse le sue esperienze di detenuto politico. Raccolse anche quelle di molti altri, ne ha elencati ben 227 e tutti riportarono le sofferenze e le torture che quella organizzazione definì con precisi protocolli. Milioni di persone passarono per questi tritacarne senza lasciare traccia. I gestori di quella “industria carceraria”, dai gendarmi reclutatori ai giudici, ai torturatori, ai carcerieri, tutti mantenevano il segreto, molti ricattati con la minaccia di fare la stessa fine dei condannati.
Alla morte di Stalin nel 1953 poco si seppe, non c’era interesse a scoperchiare una tragedia tanto cupa. La pubblicazione del libro/diario di Solženicyn fece scalpore in occidente. Nell’Unione Sovietica si preferì “non rivangare il passato”. Si citava una frase “si cavi un occhio a chi rimasta nel passato”, dimenticando di completare il detto con quanto segue: “si tolgano entrambi gli occhi a chi lo scorda”.
Infatti quel che colpisce è il silenzio sceso impietoso. L’autore cita la Germania occidentale che ha condannato ben 86 mila cittadini tedeschi per le malefatte naziste, mentre la Russia, per voce del Collegio militare del tribunale supremo, ne conta appena una decina.
Per dare evidenza a questo aspetto allego copia di tre pagine del libro “Arcipelago Gulag”, edito da Mondadori nel 1974 (pagina 187-188-189) dove viene evidenziato il valore del ricordo a beneficio del futuro.
Non è casuale ricordare che l’attuale zar/imperatore/satrapo Putin si è allenato all’interno del Kgb, i servizi segreti, fino a diventare capo, perpetuando così il sistema poliziesco a tutt’oggi. L’assassinio dell’oppositore Naval’nyj ne è la dimostrazione quanto mai evidente!
Il popolo russo ricorda la sua storia? Oppure se ne fa complice, comunque colpevole di non voler ricordare?
Nella Germania Occidentale sono stati condannati fino al 1966 OTTANTASEIMILA criminali nazisti, e noi gongoliamo, non risparmiamo pagine di quotidiani e ore di radio, rimaniamo ai comizi dopo il lavoro e votiamo: NON BASTA! Neppure ottantaseimila bastano! e sono pochi i vent’anni di prescrizione, vanno prolungati! Da noi invece (secondo quanto afferma il Collegio militare del Tribunale supremo) sono state condannate circa DIECI PERSONE. Quello che succede di là dall’Oder e dal Reno ci preoccupa. Ma quello che avviene dietro alle staccionate verdi, nei dintorni di Mosca o di Soci, il fatto che gli assassini dei nostri mariti e dei nostri padri viaggino per le nostre strade e noi ci scansiamo per lasciarli passare, questo no, non ci tocca, non ci preoccupa, è un rivangare il passato.
Intanto, se dovessimo calcolare il rapporto fra gli ottantaseimila della Germania Occidentale e il nostro paese, farebbe un QUARTO DI MILIONE! Ma anche in un quarto di secolo non abbiamo trovato nessuno, non uno di essi è stato processato, abbiamo paura di riaprire le “loro” ferite. Come simbolo di tutti costoro, in via Granovskij vive Molotov, contento di sé e ottuso; tuttora non si è convinto di nulla, è intriso del nostro sangue, e attraversa con fare dignitoso i marciapiedi per salire in una lunga e larga automobile. È un enigma che a noi contemporanei non è dato risolvere: PERCHÈ alla Germania è lecito punire i suoi malvagi e alla Russia no? Quale funesta via percorreremo se non ci sarà dato purificarci dell’immondizia che marcisce nel nostro corpo? Che cosa potrà insegnare al mondo la Russia? Nel corso dei processi celebrati in Germania si è osservato qua e là un fenomeno stupefacente: l’imputato si prende la testa fra le mani, rinunzia alla difesa e non chiede più nulla al tribunale. Afferma che la serie dei suoi crimini, rievocata e dimostrata or ora davanti a lui, lo riempie di ribrezzo e gli toglie la voglia di vivere. Ecco il massimo che un tribunale possa raggiungere: il vizio è condannato al punto che ripugna allo stesso criminale.
Un paese che abbia condannato il vizio dal banco del giudice per ben ottantaseimila volte (e lo hanno condannato in modo irreversibile la sua letteratura e la sua gioventù), se ne purifica di anno in anno, gradino dopo gradino. E noi, cosa dobbiamo fare? Un giorno i nostri posteri definiranno bavose diverse nostre generazioni: dapprima ci siamo lasciati docilmente massacrare a milioni, poi abbiamo circondato di cure gli assassini nella loro agiata vecchiaia. Che fare, se la grande tradizione del pentimento russo è, per loro, incomprensibile e ridicola? Che fare, se la paura bestiale di sopportare anche solo una centesima parte di quanto hanno inflitto ad altri prende il sopravvento su ogni tendenza alla giustizia? Se si sono abbrancati avidamente al raccolto di beni cresciuto sul sangue dei martoriati? Certamente coloro che hanno girato la manovella del tritacarne, mettiamo, nell’anno 1937 non sono più giovani, hanno dai cinquanta agli ottanta anni, hanno vissuto l’età migliore fra agi, sazietà e comodi, ed è oramai troppo tardi per una nemesi EQUA, non potrà più colpirli. Ebbene, facciamo pure i magnanimi, non li fucileremo, non li riempiremo d’acqua salata, non li cospargeremo di cimici, non li legheremo a rondine, non li terremo in piedi senza sonno per una settimana, e nemmeno daremo loro calci con gli stivali, non li picchieremo con mazze di gomma, non stringeremo loro il cranio con cerchi di ferro, non li spingeremo come bagaglio in una cella perché stiano l’uno sopra l’altro, nulla faremo loro di quanto hanno fatto a noi!
Ma di fronte al nostro paese e ai nostri figli abbiamo il dovere di TROVARLI TUTTI e PROCESSARLI TUTTI! Processare non tanto loro quanto i loro delitti. Ottenere che ciascuno di essi dica almeno, ad alta voce: Sì, sono stato un boia e un assassino. Se questo fosse pronunziato nel nostro paese SOLTANTO un quarto di milione di volte (per non essere da meno della Germania Occidentale), basterebbe forse? Non è possibile continuare a distinguere per decenni, nel secolo ventesimo, l’efferatezza da processare dal vecchio che non bisogna rivangare. Dobbiamo condannare pubblicamente L’IDEA stessa dello scempio compiuto da uomini sui loro simili. Tacendo sul vizio, ricacciandolo nel corpo perché non si riaffacci, noi lo SEMINIAMO, e in futuro germinerà moltiplicandosi per mille. Non punendo, non biasimando neppure i malvagi, non ci limitiamo a proteggere la loro sterile vecchiaia, ma strappiamo da sotto alle nuove generazioni ogni fondamento di giustizia. Ecco perché esse crescono indifferenti, non è colpa della insufficiente educazione. I giovani imparano che un’azione ignobile non viene mai punita sulla terra, anzi porta sempre il benessere. Non sarà accogliente un tale paese, farà paura viverci.