Sono trascorsi quattro anni da quella buia serata sulle strade della bergamasca percorse da colonne di camion militari a fari abbassati che transitavano lenti, direi di malavoglia, portando le bare dei morti di Covid verso altre regioni, i cui crematori erano disponibili ad aiutare quelli lombardi impegnati 24 ore al giorno.
La pandemia in quella zona era al culmine, poco o nulla sapevamo di quel virus proveniente dall’estremo Oriente arrivato con rapidi mezzi, gli aerei, contrariamente ad altre pandemie dei secoli andati che arrivavano via mare o via carovane di cammelli. Scoprimmo quanto eravamo impreparati a combattere l’invisibile nemico, cadendo nel panico.
Le strutture sanitarie erano sprovviste di piani di sicurezza idonei e aggiornati. Mancavano persino di che vestire i medici e infermieri, giunti all’estremo di utilizzare i sacchi per l’immondizia come camici!
Di quei giorni ricorderemo eroismi di medici e personale sanitario, ma anche tristi fatti di mala organizzazione strutturale e politica sfociata poi nell’onda no vax.
Allo scadere del quarto anno il morbo è stato forse sconfitto, regredendo a male di stagione, fermo restando che non conosciamo le conseguenze della malattia nel tempo. Mi auguro che la scienza, nel silenzio dei laboratori, continui la lotta per neutralizzare eventuali spiacevoli postumi, nonché lavori affinché i no vax abbiano a vaccinarsi per garantire loro l’immunità nonché quella di gregge per tutta la popolazione.
Ho l’impressione che l’opinione pubblica abbia steso un manto di oblio su quanto è successo. Se fosse così dovremmo appellarci alla dea fortuna, cosa quanto mai umana ma stupida…