Yucatan, 23-26 febbraio 2008. Seconda puntata.
23 febbraio: si parte per Palenque. 370 km. Dopo 30 km il sito di Balanku piccolo perché poco scavato. Importante per il ritrovamento di tre mascheroni in stucco colorato, sono stati posti entro una struttura di dubbio gusto per proteggerli. Trattasi della rappresentazione delle segnante quale tramite con la divinità. Sono comunque interpretazione controversa, si riprende la strada con retti fili infiniti, poco frequentata sempre fra gli alberi. Solo in vicinanza di Escargena si è popolata. Difficoltà per il pranzo, finalmente una baracca dove non abbiamo mangiato male previa lunga attesa rotta da qualche “spuncionsin” (bocconcino) non so dire di cosa. Per la birra l’ostessa è andata in un vicino negozietto a comprarla. Per dire le difficoltà. Da qui il paesaggio cambia, non più foresta ma Pascoli di bovini, è tutto un susseguirsi di grandi range, non ci sono paesi, poche case qua ella. Mi fanno chilometri. Senza possibilità di fermarsi, non una piazzola di sosta. Finalmente Palanche, brutta cittadina piuttosto incasinata poco artigianato e quel poco dozzinale. Albergo buono.
24 febbraio: Palenque, Yaxchilán, Bonampak. Si parte che ancora notte, buio pesto su una strada montana in mezzo la foresta interrotto da qualche allevamento. Nubi di umidità. Alle prime luci si presentano vasti range di bovini, zebù, pecore, cavalli. La guida ci dice che oggi domenica molti uomini sono ubriachi perché già da venerdì sera è cominciato il fine settimana. Purtroppo è una piaga dei contadini della zona Maya, vivono in uno stato di indigenza dalla quale non riescono ad uscire, non mancano di cibo ma della voglia di fare. Si dice che lo stato di servaggio già imposto dai conquistadores abbia minato la coscienza di questo popolo. Non hanno l’ambizione ad una casa, di un qualche modello che dia loro dignità in particolare alla donna ultima nella scala sociale. Purtroppo trattasi di una situazione che accomuna popolazione ben più progredite nel può ma cagionevoli nella giustizia sociale, vedi India. Ritengo però che anche in questa parte del mondo, come in dubbio, la condizione dell’individuo visita del pensiero di ognuno per cui si sono create leccarti dalle quali nessuno pensa di uscire particolare la gente delle campagne sperduta nelle foreste e nei ranch senza contatti col mondo. Le molte rivoluzioni di cui il Messico mena vanto di aver cambiato la situazione dei contadini dando loro la terra, in realtà il contadino non è in grado di gestire il proprio campo in modo competitivo.
Porto un punto stavamo navigando sul fiume Usamacinta su una barca a motore, ho visto contadini scendere dalla sponda Guatamalteca, con sacchi di chicchi di grano turco, lascio a voi immaginare come abbiano potuto sgretolare qui grani dal torsolo. Quando ero in campagna e devo dare del granoturco al pollaio scritto lavo a mano le pannocchie, tre o quattro, era una fatica da non credere. Torniamo al contadino che scendeva la riva sabbiosa del fiume quasi rotolando per portarlo ad una barca che ne caricava solo 24. A pieno carico partiva per portare il raccolto, con un viaggio di due ore, ad un approdo che aveva accesso ad una strada. Anche qui lo scarico con i sacchi in spalla risalire l’alta ripa fino al camion in attesa. Se questo è il modo che hanno i contadini di portare i loro prodotti ad un mercato quando mai potranno essere competitivi? Ecco perché non vedo come le cose possono cambiare, ancora oggi nella foresta procedono come 1000 anni fa a coltivare a maggese: si disbosca un tratto di foresta, qualche ettaro, si brucia tutto così hanno le ceneri concimanti, si smuove il terreno e si pianta a mano il mais. Si possono fare più raccolti l’anno. Nel giro di quattro anni il terreno diventa sterile per cui bisogna spostarsi di ricominciare in un altro posto. Può essere competitivo? Inoltre se il sistema si espandesse sarebbe minacciata la foresta, polmone del mondo. Ecco perché le rivoluzioni di Zapatero e del subcomandante Marco furono utopie.
Nota: sempre con la nostra barca a motore incrociamo una barca carica di sacchi tanto che il bordo sporgeva dalla acqua forse per 5 cm, al momento dell’incrocio ci siamo quasi fermati nel timore che minuscole onde che provocava amo potessero compromettere la stabilità della barca carica di sacchi. Cose surreali. Conteniamo la strada forse abbiamo attraversato qualche confine comunale o regionale o un qualche regolamento stradale particolare o molto probabilmente si tratta di misure di polizia o militare: Ogni qualche chilometro la strada è attraversata da una cunetta rallenta traffico fatta di copertoni di auto tagliati e stesi a terra, per superarli bisogna fermarsi. Tre ore per 157 km. Lungo il tragitto nessun traffico qualche paesino e qualche arancia. ogni qualche chilometro la strada è attraversata da una cunetta rallenta traffico fatta di copertoni di auto tagliati e stesi a terra, per superarli bisogna fermarsi. Tre ore per 157 km. Lungo il tragitto nessun traffico qualche paesino e qualche ranch. A Corozal della frontiera, sulla carta geografica frontiera Echevarria, è il punto di partenza via fiume per raggiungere Yaxlian, non un passo di frontiera infatti la nostra strada finisce qui e prosegue per altre località in forma di sentiero chiamato sulla carta geografica “camino de riempi seco” che dice che tutto sulla sua percorribilità, lo stesso che percorro oltre fiume in territorio guatemalteco.
Ci imbarchiamo su una barca con motore fuori bordo di una decina di metri piuttosto stretta sembrava una lunga canoa. Entriamo nella corrente molto forte, il fiume è largo una cinquantina di metri, in certi punti dilaga formando barene, e spiagge, e ci lasciamo andare. La guida ci dice della possibilità di vedere qualche coccodrillo al sole sugli isolotti di Rema. Vediamo una grossa iguana rossa, è un maschio, due aquile, uno in volo dal capo bianco, uno stormo di avvoltoi forse 20. A Yaxchilam nella foresta dove sono immerse le rovine che visiteremo abbiamo visto un grosso tucano colorato ed un branco di scimmie urlatrici dal corpo tozzo nero e coda prensile, le loro urla sono davvero raccapriccianti. La cosa che mi colpisce sono le rade capanne sull’altra riva gualtemalteca, oltre le quali si intravedono piccoli appezzamenti di mais. Ribadisco che il più vicino contatto col mondo è a due ore di barca. La scuola, ospedale, la convivenza civile, la politica come si conciliano con tale isolamento!
Arrivati a Yaxchilan, chiusa all’interno di un’ansa del fiume per 30 gradi. Troviamo militari che ci perquisiscono, per coincidenza c’era in visita il presidente del Cile. Un elicottero continuava a sorvolare il luogo a bassa quota facendo impazzire gli uccelli. Non certo punto ci fece allontanare dal sentiero e si ferma su un piccolo spiazzo senza alberi e ci mostra un buco sul terreno di 5 cm di diametro, strappa una cannuccia dal palato e, come facevo io cacciando i grilli, solletica l’animale nella sua tana, dopo un po’ esci un grosso ragno, una vedova nera che subito si rintana. Di improvviso usciamo dalla fitta foresta su un vasto spiazzo sul quale dominano impotenti rovine ed edifici. Molte le stelle con i Liffe, con le storie del popolo Maya, i loro costumi, i loro regnanti. Purtroppo un gran numero di scritti sono andati perduti per mano di un francescano, fra landa, per poter meglio convertire i nativi. Solo le stelle non potevano essere facilmente distrutte. A ragion di verità fra landa fra i più proficui scrittori delle cose dei Maya. Il tempio 33 è un imponente modello di ciò che fu l’architettura Maya. In connubio con l’astronomia e il calcolo il caldo e l’umidità sono pesanti. Torniamo a Corozial.
Ripartiamo in auto dopo un’ora e siamo a Bonampak. Questo è il territorio dei Lacandoni, l’unico popolo che non si lasciò convertire. Questo fatto lo si comprende guardando una carta geografica che mostra l’estremo isolamento. Ancora oggi è un popolo ribelle. Hanno ottenuto dal governo centrale una vasta autonomia nella gestione del territorio. Infatti giunti a qualunque chilometro dal sito abbiamo trovato il blocco del sentiero da parte di alcuni Lacandoni. Abbiamo dovuto trasbordare su un loro furgone e lasciare sul posto la nostra guida ad attenderci. Il sito è significativo per i dipinti murali. È ben tenuto pulito ma trasandato si vede che manca la mano dell’archeologo o comunque di qualcuno che abbia conoscenza specifica. I Lacandoni sono pigri con poca propensione al lavoro. Deduco che non avendo completa conoscenza del luogo che gestiscono non è perciò stimolo ad attivarsi. Il ritorno, tre ore di suv su strada sconnessa è stato pesante. Durante il percorso ho osservato fatti di vita dei contadini che scrivo per frasi, le osservazioni riguardano luoghi diversi, sono rilevati dall’auto in movimento:
- Nel cortile di una capanna tre uomini e alcune donne stavano ammazzando un maiale, proprio nel momento che lo tenevano fermo sul tavolato per coprirlo.
- In una pozza chiusa alcune donne lavavano i panni sul ciglio della strada un uomo sdraiato e l’altro seduto a guardarle, erano ubriachi.
- In una pozza d’acqua alcune ragazze facevano il bagno e si lavavano con il sapone.
- Davanti casa frotte di bambini e alcune donne le une a chiacchierare, gli altri a giocare. Era domenica.
- Lungo la strada un contadino a cavallo vestito a festa con il largo cappello di paglia.
- Le case sono baracche ad un piano con il tetto di foglie di palma, sono a filo terra, l’indigenza è evidente.
- Bambini a frotte. Le bambine sono solitamente vestiti a colori vivaci con buon gusto.
- Le fisionomie sono tipiche e ricalcano i tratti dei volti scolpiti o dipinti nelle rovine che stiamo visitando. I vecchi hanno tratti così marcati da sembrare caricature. Di statura sono solitamente bassi.
- Nel rientrare in albergo entrambe le sere al crepuscolo un grosso roditore ci ha attraversato la strada, tanto da Farci fermare. La guida ci ha detto che ha un’ottima carne.
25 febbraio: Palenque. È il sito più importante vasto dei Maya, in cui conosciuto, qui ci sono le opere più significative che hanno contribuito alla conoscenza dei Maya. Il museo è chiuso perciò riposo e aggiornamento del diario. Il caldo è soffocante. In città, dimenticando, la regola principe di questi viaggi: non bere mai acqua che non sia da bottiglia chiusa e tantomeno ghiaccio, abbiamo bevuto una bibita alcolica con ghiaccio. C’è andata bene. Il bar era al secondo piano e le finestre davano sulla piazza. Era questa quadrata di una cinquantina di metri di lato con intorno al bene le cui chiome si incrociavano tra loro formando un continuum. Sotto gli alberi nonostante le panchine e l’ombra non c’era nessuno, le persone erano al centro. Il motivo è presto detto. Stormi di uccelli simili a merli dal becco giallo e così le ciglia, una moltitudine, entravano ed uscivano dalle fronde degli alberi, provocando un chiasso infernale, si trattava della passeraia serale.
Toni Schiavon, “Mi sono sbottonato!” Libro secondo, nr. 165