“Dio del cielo, Signore delle cime, un nostro amico hai chiesto alla montagna, ma ti preghiamo su nel Paradiso, su nel Paradiso, lascialo andare, per le tue montagne.
Santa Maria, signora nella neve, copri col bianco, soffice mantello il nostro amico, il nostro fratello, su nel Paradiso, su nel Paradiso, lascialo andare, per le sue montagne.”
Sono queste le due strofe di un canto corale scritto da un amante della montagna e della musica quanto mai sensibile, Bepi De Marzi.
La Paola nelle sue scorribande tra i colli ha fotografato lungo un sentiero alpestre un capitello nel quale è scolpito un presepe sopra il quale si ergono delle rocce scalate da un alpinista. Sul basamento sono incise le due strofe. Fanno memoria di un giovane deceduto in un incidente di montagna, tanta fu la doglianza tra gli amici e quanti lo conoscevano, a simboleggiare lo spirito di fraternità che la montagna ispira a chi la frequenta.
La poetica di Bepi De Marzi ha colto lo spirito dell’amore che le cime esprimono tra il creatore e noi creature, tanto che il bambinello nella mangiatoia l’ha voluto condividere con l’umanità tutta.
Nei ricordi giovanili ogni volta che cantavamo in coro il Signore delle cime e la madre sua Maria la commozione ci prendeva la gola.
Ho trovato tra le montagne del Caucaso, in Armenia, a oltre 2000 metri di altezza, in un villaggio, un piccolo coro locale che l’aveva adattata, tanto sono suggestive le note che sostengono le due rime.
Sono momenti sentimentali che fanno rivivere gli anni dolci della gioventù. Ecco allora ancora una frase, certo ben meno nota di quelle di cui sopra, ma che esprime comunque la vicinanza che la montagna crea tra l’uomo e Dio.
“Ma io vorrei tornare ancor lassù nella valle alpina, distendermi a terra e sognare, tra i rododendri in fior e non lasciarti piu”.
Lassù ai piedi dei ghiaioni, tra i mughi contorti abbarbicati ai sassi e i primi boschi di conifere si perde la memoria del reale fino a quando si incontrano le prime tracce di sentiero che ti riconducono al presente.