diario dalla finestra di casa Libro II

20 aprile 2020 – Catastrofe

20 Aprile 2020

Ho cominciato queste mie note il 15 marzo, a oggi sono 37 giorni, ma sembra un secolo. Mi ero illuso che questo diario sarebbe stato decisamente più corto. Oggi sono consapevole di non pormi scadenze. Mille e un indizio mi dicono che non siamo in grado di darci certezze, anzi si intravedono tempi lunghi e il possibile riaccendersi di focolai a causa delle indispensabile attività riaperte a garantire un minimo di sopravvivenza economica. Ieri c’è stato un calo nell’incremento dei contatti, 1,7% ed era il 2%, e un calo dei decessi. Restiamo però in zona di curva piatta. Fuori dalle finestre tempo imbronciato, mesto. Parliamo d’altro!

Riordinando ho trovato uno scritto relativo ai risultati delle votazioni del 4 marzo 2018, che allora avevo definito “la catastrofe della democrazia”. Col senno di poi non era difficile prevederlo, non tanto per coloro che sono usciti perdenti, tutt’altro che eccelsi, bensì per i vincitori, che in un paio d’anni hanno mostrato tutta la loro incapacità.

La catastrofe (della democrazia)

Premessa. La democrazia è un sistema politico imperfetto, ma rimane comunque il migliore inventato dall’uomo e non ha alternative per ora. Il pilastro della democrazia è una persona un voto: questa equazione non è trattabile. I pericoli principali per la democrazia sono coloro che governano: Alcibiade, quinto secolo prima di Cristo, che ha un suo epigono in Berlusconi 1994-2018, entrambi intelligenti, affabulatori, ricchi, spregiudicati e, dicendolo con una sola parola, la non conoscenza.

Il fatto. 1952, fine maggio, Palermo, un caldo infernale, vento caldo del Sahara che porta sabbia rossa. Sono in libera uscita, avevo lasciato la Caserma Turba insieme con altri commilitoni tutti ansiosi di raggiungere la Vucciria, il grande mercato di bancarelle della città vecchia in zona del Porto. La meta, di cui ho detto in altro scritto, non la condividevo. Presi dunque un autobus che a fine corsa portava al cimitero monumentale ai piedi dei monti a est della Conca d’Oro. Visitai alcune tombe, le più significative, di cui avevo letto in una vecchia guida. Poi mi incamminai su di uno stretto sentiero su per il monte. Ero in divisa di panno invernale, il cambio di abbigliamento avveniva il 2 giugno per tutta l’Italia, dal Brennero a Lampedusa. Burocrazia. Un caldo da spaccare le pietre. Avrò camminato una quarantina di minuti in ripida salita fino a sfociare in un pianoro accidentato dove si coltivava un grano magro e stentato. Lungo il sentiero una casupola, sulla soglia una piccola donna vestita di nero compreso il fazzoletto in testa. Come mi vede lancia un grido, da dietro la casupola esce un uomo con un volto truce e mi rovescia addosso un fiume di parole in una lingua incomprensibile. Scappo a gambe levate, in pochi minuti raggiungo il cimitero. Quella donna e quell’uomo sono uno dei termini dell’equazione una persona un voto.

Mi chiedo, considerato il contesto in cui li ho incontrati, se potessero conoscere la storia del greco Alcibiade sul valore della democrazia per poter dare un voto consapevole, figlio della conoscenza, e non cadere nelle mani dei Alcibiade/Berlusconi e aggiungo io 5 stelle/Salvini? È pur vero che ho evocato un confronto esasperato, si direbbe un caso limite, sul tema. Dico però che l’umanità ha avuto dal V secolo ad oggi ben 2500 anni per trovare una soluzione, magari a piccoli passi. Perché non l’ha fatto? La democrazia è forse contro natura? Oppure non abbiamo sufficiente intelletto per farlo?

Oppure è nel nostro DNA di viver come bruti (parafrasando Dante “nati non foste per viver come bruti ma per seguir vertute e canoscenza”).

Toni Schiavon, “Mi sono sbottonato!” Libro secondo, numero 80 e 80 bis

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