Covid: una buona notizia. Crisanti, microbiologo a Padova che a me piace, dichiara che la curva epidemiologica ha smesso di crescere, si è appiattita. Dovrei esultare perché tecnicamente è positivo, vuol dire che il numero dei contagi tende a non crescere: però il popolo, che non è tenuto a essere tanto sottile nelle interpretazioni, prende la notizia come un “libera tutti”. Non è così. Infatti questo è solo il possibile inizio del percorso di discesa. In queste condizioni si continua a morire con lo stesso ritmo. Affinché le vittime diminuiscano la curva deve scendere e questo avviene se manteniamo le rigide norme di distanziamento e cautela, specialmente i più fragili. Detto questo arrivo al paradosso di minimizzare la buona notizia perché non venga male interpretata! Questo è l’insegnamento datoci dalla prima ondata del virus.
Dal libro “Nonno, parlami di te” a pagina 109 rispondo a tre domande che non dovrebbero essere sottoposte a un nonno: “In che cosa assomigliano i tuoi nipoti ai loro genitori? In che cosa invece sono diversi? Che cosa hanno fatto i tuoi nipoti che ti ha reso tanto felice? Che cosa ti piace dei tuoi nipoti e che cosa apprezzi di più il loro?”.
Queste tre domande non dovrebbero essere mai state fatte in questa raccolta di ricordi del nonno. E in ogni caso in nessun ragionamento giudicante nel campo degli affetti. Ogni persona è unica e irripetibile con i suoi pregi e difetti e non può essere il nonno a enumerarli. Solo un ipotetico ufficio organizzativo del Grande Fratello può fare l’operazione giudicante per farne oggetto di mutazioni a ottenere l’uomo perfetto. Non è questa la direzione cui aspiro. I miei nipoti, così come i miei figli, hanno pregi e difetti. Ognuno di loro è depositario dei miei sentimenti che non possono essere discriminatori, se lo fossero sarebbero “frutti velenosi”. Certo alcuni risultati raggiunti dai miei figli e nipoti mi hanno entusiasmato ma nulla tolgono o aggiungono all’afflato con cui penso a ognuno. A volte ho tristezza per situazioni di difficoltà per qualcuno di loro. Ma sono cose da attribuire al vivere, a contingenze complicate che non inficiano il campo dell'”amor filiale”.
Fatta questa lunga premessa che vuol ben delimitare qualsiasi attribuzione mi venga fatta di preferenza per l’uno o l’altro porto un solo pensiero: mi ha sorpreso fin dall’inizio, il lavoro intrapreso da Dario in giro per il mondo dopo le faticose peripezie scolastiche. Proprio questa esperienza dimostra quanto sia difficile trarre giudizi sulla base di parametri comuni a tutti. Ho citato Dario perché quanto mai sintomatico di un percorso in qualche modo diverso da quello che ho sempre auspicato come guida ideale: scuola, cultura e il “pezzo di carta”, la laurea. Questo dimostra che le mie certezze, e quindi la capacità di giudizio sono tutt’altro che assolute. Ho tentato di dire in tutti i modi che mi è insopportabile l’idea di stendere una gerarchia di valori, che possono essere addirittura soggettivi, nei confronti dei miei discendenti ammettendo di aver generato una progenie divisa in caste!