Covid: si avvicina la resa dei conti. Fa capolino tra le righe del giornale che il 15 novembre sarà la scadenza per dichiarare la chiusura totale del paese.
Il professor Galli, infettivologo: la situazione è ampiamente fuori controllo. La giusta scelta delle chiusure differenziate sono state interpretate furbescamente dagli “italiani brava gente”: zona rossa = voi state lì ben chiusi in casa se no venite ad appestare noi delle zone gialle, liberi tutti, e arancione, quasi liberi tutti. Documentazioni fotografiche lo dimostrano. Che tristezza.
Dal libro “Nonno, parlami di te” a pagina 31 rispondo alle domande: “Quali erano gli hobby del tuo papà? Cosa apprezzi di più del tuo papà? Cosa sai dei suoi fratelli? “
A nonno Gino piaceva la pesca all’amo. Poteva praticarla raramente, era troppo impegnato per la sopravvivenza della famiglia.
Si dedicava con passione all’orto, ai conigli, ai colombi. D’estate andavamo io e lui ad aiutare i nonni materni in campagna per la trebbiatura, la vendemmia, la raccolta del granoturco. Qualche domenica giocava a bocce all’osteria della zia Norma. Era la casa madre degli Schiavon.
“Cosa apprezzi di più del tuo papà?”: la bontà. Il giudizio sulla persona va dato non solo per la sua unicità specifica che è però permeata dal contesto in cui vissuta. Nonno Gino è nato nel 1902 nel pieno dell’esodo migratorio dei primi anni del secolo ventesimo, quindi di povertà estrema. Con la guerra con la Turchia per la Libia. Ha vissuto l’adolescenza nel pieno della Prima Guerra Mondiale, la giovinezza e prima maturità con il fascismo di cui non condivideva le idee. Con noi bambini la Seconda Guerra Mondiale, la ricostruzione postbellica fatta di tanto lavoro e tanta miseria fino agli anni sessanta quando cominciò un po’ di benessere. Egli fu buono, non invasivo. Ha dato tutto di sé lavorando al di sopra delle sue forze per quanto gli era consentito dal contesto di cui sopra che non lasciava posto a fantasie o iniziative spericolate.
I fratelli Schiavon erano 6, tutti maschi.
- Zio Vittorio, morto nel dopoguerra del 1915-18 per una malattia contratta sotto le armi.
- Zio Mario, ferroviere, guidava la “maseneta”, una locomotiva a vapore per la formazione dei treni in stazione.
- Zio Giovanni, falegname.
- Papà Gino, fabbro.
- Zio Aldo, cameriere al ristorante “Isola di Caprera”.
- Zio Bruno, meccanico, lavorò in Zedapa dove ho lavorato io per molti anni.
- Lo zio Vittorio non l’ho conosciuto, mentre ho avuto una forte frequentazione con la zia Norma, sua moglie, nell’osteria La Rampa vicino alla mia abitazione.
Lo zio Bruno spesso mi portava sui colli in bicicletta, ci fermavamo all’osteria da Arturo e mi faceva bere la gassosa con un po’ di vino. Con gli altri zii ci siamo sempre frequentati, anche con i due che erano fascisti, molto morbidi, che papà non mi ha impedito di frequentare anche se aveva idee diverse, anzi si volevano bene.