Dal libro “Nonno raccontami di te” ho individuato tre domande, correlate fra loro, cui ho dato risposta. Esse sono: La prima: qual è la cosa che ti piaceva di più? E cosa ti piace oggi? La seconda: quali sono i posti più interessanti che hai visto nella tua vita? C’è ancora qualche posto che vorresti visitare? La terza: c’è un posto al quale sei particolarmente affezionato? Ci dici quale?
Oggi propongo alla vostra attenzione la terza domanda, la più intima. Il buon vino va bevuto a sorsi! Le altre seguiranno.
Ecco la risposta che ho dato qualche tempo fa. Non so se chi ha costruito la domanda era consapevole di cosa la parola “affezionato” avrebbe suscitato. Infatti la parola può significare affezione alla bellezza, all’importanza storica, ambientale, geologica, antropologica. Ci sono luoghi imperdibili per la loro unicità. L’Antico Egitto, Roma, il Mato Grosso, Angkor, la Grande Muraglia e tutti vorrebbero poter dire: l’ho visto.
Io invece voglio interpretare la parola affezione ad un luogo del quale sono innamorato e che continua a tenermi legato a sé con la nostalgia. Quando questo luogo che ha in sé il potere di affezionare è anche bello, l’incantesimo è completo. Questo luogo è la montagna, in particolare le Dolomiti, e quelle cadorine nello specifico, sono i luoghi della mia nostalgia. Ogni volta che penso a quei posti, alle fatiche profuse per scoprirne gli angoli più remoti, rivivo ogni istante non solo in senso fotografico, ma ben di più in senso emotivo. Al termine di ogni escursione, ferrata, arrampicata, al momento di togliermi gli scarponi e di prendere l’auto per tornare a casa già sentivo la nostalgia di tornare, di rifare il percorso. Avevamo una canzoncina: “Ah, io vorrei tornare ancora anche solo per un dì lassù nella valle alpina. Tra pascoli e rododendri in fior distendermi a terra e sognar “. Qualche volta sono tornato a ripercorrere sentieri già percorsi scoprendo cose nuove, comunque rivivendo quelle già conosciute con lo spirito della prima volta.
Condividere questa esperienza con gli amici, con i propri cari era essenziale, la gioia raddoppiava. Anche gli inconvenienti, come il brutto tempo, non smorzavano l’entusiasmo, facevano anzi aumentare il piacere di aver vissuto l’esperienza. La primissima volta fu nel 1945 o ’46, il parroco ci portò per alcuni giorni, lui ex alpino, in montagna nei dintorni di Pedavena. Ci condusse su per un sentiero, a me sembrava impervio, in realtà era un viottolo che portava ai pascoli. Più avanti nel tempo avrei capito cosa sono le vie per la scoperta delle crode. Fu amore a prima vista anche se ero circondato da un ambiente sociale poco aduso all’alpe. Solo quando entrai nello scautismo ogni occasione divenne buona per frequentare le Dolomiti.
Di montagna ho scritto in più occasioni. Epico fu il periodo degli anni ’80, con Gabriele mio nipote ho fatto le ferrate più impegnative, ma anche molti anni di ferie estive con la famiglia. Memorabile la Ferrata Costantini sulla Moiazza, la Fiamme Gialle sulla Palazza alta, la Roghel e la cengia Gabriella verso il Comici e tantissime altre. Che dire del clima di fratellanza nei rifugi con il cibo spartano e servizi altrettanto limitati. Oppure nei bivacchi, luoghi deputati alle emergenze, disabitati, dove sapevi di trovare quanto basta per sopravvivere in caso di difficoltà e dove passando lasciavi quel che potevi per garantire qualcosa a chi avrebbe avuto bisogno.
Mi piace chiudere questo scritto con una utopia: il grande timoniere, Mao, volle che gli studenti, futura classe dirigente del paese, facessero l’esperienza contadina. Io vorrei che tutti i bambini, gli adolescenti, i giovani vivessero l’esperienza della montagna. Ancor più per un politico dovrebbe essere obbligatoria!