Libro II Mi Sono Sbottonato!

Globalizzazione

9 Maggio 2020

Premessa: vorrei escludere l’interferenza socio-politica, non tanto per evitare problemi bensì per affrontarli dopo aver accertato l’aspetto tecnico.

  1. Gli asparagi cileni.

Arrivano sui mercati delle grandi città, Milano, Londra, Shangai in 2 o 3 giorni dalla raccolta, controllati, imballati, sterili, a un prezzo equo al mercato. I produttori padani riescono a mantenere il mercato? Ad essere concorrenziali? Se riescono a reggere vuol dire che i cileni hanno un costo di produzione inferiore almeno del costo del trasporto aereo. Pertanto se i cileni riescono a migliorare la produttività e quindi ad abbassare il prezzo, cosa dovranno fare gli ortolani padani?

  1. Si rivolgeranno al governo per un sussidio?
  2. Metteranno un dazio sugli asparagi cileni?
  3. Cercheranno di migliorare la produttività?
  4. Con la pubblicità, convinceranno gli acquirenti a comprare italiano?
  5. Cambieranno mestiere?

Commenti alle soluzioni:

1 e 2. non sono percorribili, sarebbe economia drogata; 3. dovrebbe essere un obiettivo sempre presente, indipendentemente dalla concorrenza. Innovazione, ad esempio freschezza a lunga conservazione, ricerca/OGM; 4. la può fare anche la concorrenza; 5. no comment.

Come si può capire non c’è molto margine operativo se non nell’ambito di quello che dirò alla fine di questo scritto.

  • Il latte sardo.

Cerco di adottare l’analisi sopra utilizzata in un diverso contesto. Il prezzo del formaggio al consumatore è dato da:

  • Materia prima: il latte
  • La trasformazione compresi i trasporti
  • La qualità che è intrinseca o imposta dalla pubblicità. Noi ci riferiamo a quella intrinseca.

La soluzione proposta dal governo (Salvini) è di imporre il prezzo del latte a un euro/litro. Oggi è a 0,60= + 0,33,3%. A quale scenario ci espone questa soluzione?

  1. Il produttore di formaggio acquisterà il latte a 0,60 dal produttore di latte che sicuramente avrà un guadagno, non sarebbe altrimenti un buon industriale. Dovrà solo spostare gli ordini dal pastore sardo al pastore calabrese o albanese.
  2. Lo Stato si fa carico della differenza, 0,40 euro?
  3. Metteranno un dazio sul latte abruzzese a vantaggio del sardo?
  4. Il produttore di formaggio migliorerà il ciclo produttivo?
  5. Il produttore di formaggio e il pastore cambieranno mestiere.

Commenti alle soluzioni:

1. Vuol dire che è possibile produrre il latte a 0,60 con diversi costi di produzione del latte. Esempio: immigrazione di indiani come nelle aziende emiliane. Parleremo più avanti delle implicazioni. 2, 3, 4. non percorribili: vedi asparagi. 5. Lasciamo produrre il latte/formaggio a chi ha fatto innovazione – ricerca – sviluppo e anche delocalizzazione corretta prima di noi. Non possiamo vincere la sfida.

Oppure, soluzione drastica, abbandoniamo la globalizzazione, chiudiamo porti, frontiere, tunnel e torniamo all’età della pietra.

Postilla al punto 2: può essere che lo Stato abbia interesse a farsi carico dello 0,40 di differenza con lo scopo di mantenere nel territorio sardo, per le sue peculiari condizioni, le greggi di ovini; così facendo utilizza mezzi finanziari che dovrebbe comunque esborsare quale manutenzione del territorio. In questa direzione si legga circa il fenomeno frane il cui sosto per gli interventi di emergenza per il dissesto idrogeologico è superiore ai costi di una corretta manutenzione preventiva che avrebbe anche il vantaggio di ridurre il costo in vite umane.

In questa ottica, chi pagherà i danni umani, abitativi, commerciali, di infrastrutture e ai beni naturali di quel milione e più di persone che abitano le pendici del Vesuvio, la valle del Bove Etnea docet, quando verrà l’eruzione che gli esperti vulcanologi e probabilisti dicono pronta a esplodere?

Non certo i politici di oggi, 16 febbraio 2018, che hanno come obiettivo primario più lontano le elezioni europee del maggio 2019!

Nel caso si prenda la soluzione 5. vi anticipo una semplice procedura per fare il burro dentro le nostre chiuse frontiere, è del 1941.

Materiale: del latte appena munto, siamo già in stalla a dormire al calduccio degli animali su un buon giaciglio di paglia, una bottiglia di vetro in qualche modo recuperata, preziosa anche per “frasemare” il sale grosso in sale fino facendola rotolare con forza avanti e indietro sul sale grosso sopra una piastrella da pavimento, una specie di frantoio. Si versa il latte nella bottiglia, si tappa per bene e la si sbatte alternativamente e nel giro di una quindicina di minuti si forma un aggregato di burro solido immerso in un liquido acquoso. Attenzione a non sbatterlo troppo perché l’aggregato diventa troppo duro e diventa difficile estrarlo dalla bottiglia.

Un altro strumento che può essere utile è un primordiale macina grano. Mio padre, nonno Gino, sempre nel 1941, ha recuperato una vecchia macchinetta per fare le tagliatelle in casa, ha sostituito uno dei rulli rotanti per la trafilatura delle tagliatelle con un rullo dentato. In questo modo potevano macinare il grano per farne farina da pane. Ne risultava una farina grossolana, che conteneva anche la cuticola, la crusca, dalla quale ricavavano un pane duro, col vantaggio che durava più a lungo, anche perché senza lievito. Era comunque una manna.

Per concludere vi racconto anche della raccolta del grano.

Subito dopo il taglio del grano, noi che abitavamo in periferia della città al confine con la campagna, andavamo tutti i giorni dopo scuola a raccogliere le spighe sparse, era un lavoro duro, piegati sulla schiena, vedi il quadro di Millet “Le spigolatrici”. Le mettevamo sul marciapiede di casa a seccare, quindi le battevamo e setacciavamo per avere i grani puliti. Ricordo che ne facevamo un bel po’. Dovevamo macinarlo in casa in quanto non potevamo andare al mulino perché ci avrebbero chiesto la provenienza del grano. Eravamo sotto il regime della tessera annonaria, con un controllo stringente delle risorse alimentari.

La conseguenza della scarsità alimentare era un diffuso rachitismo, parlo della mia infanzia. In precedenza era peggio, tra i bambini. La scuola, di fronte a questa calamità, aveva organizzato la distribuzione dell’olio di merluzzo. Ci mettevamo in fila e il bidello Giovanni passava e ci infilava in bocca un cucchiaio di quell’olio schifoso. Qualcuno si portava il suo cucchiaio da casa, magari un po’ più piccolo, altrimenti Giovanni utilizzava il suo grosso cucchiaio comunitario.

Oppure, e qui il colpo di genio: rinunciare alla crescita obbligatoria del PIL che ci consente di avere tutto e subito e di più e impariamo a rinunciare al superfluo che è moltissimo. Ma questa è utopia che si realizza solo nelle favole.

Toni Schiavon, “Mi sono sbottonato!” libro secondo, numero 113 e 120

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