Durante le vacanze di scuola, fino al 1943, venivo regolarmente reclutato dal casoin di quartiere, il signor Michelon, con compiti i più diversi: tenere pulito il negozio e il magazzino, sballare i prodotti e metterli con ordine in negozio e, dai dieci anni, andare con il triciclo ai magazzini all’ingrosso a prendere i prodotti. Sale e tabacchi al Monopolio di Stato in via Gaspare Gozzi, formaggi e salami dietro il Duomo da “Galbani”, marmellate, conserve, sottoli, sottaceti da “Boschetti” al Bassanello. A Tencarola, dopo il ponte, pasta, riso e altri prodotti.
Era un pomeriggio infuocato, stavo tornando dalla “Boschetti” del Bassanello con il triciclo carico. Spingevo sui pedali rimanendo in piedi in modo che il peso del corpo aiutasse il pedale a scendere, naturalmente sudavo. Ero arrivato sul tratto di strada dinanzi all’attuale Istituto Oncologico Veneto in via Gattamelata, l’allora Ospedale Busonera, sanatorio per la cura della tubercolosi, il fondo era di ghiaino polveroso.
Sentii un tonfo come se la ruota avesse incontrato un ciottolo, invece si trattava di una serpe grossa come il braccio di un bambino, di circa un metro e più, che in dialetto chiamavamo scarbonasso per il colore nero. L’ho vista spuntare da sotto il cassone del triciclo contorcendosi scompostamente, forse ferita, e fuggire giù in ‘marezzana’, quella larga bassura a ridosso delle mura cinquecentesche che circondano la città, che veniva riempita d’acqua in caso di attacchi delle truppe nemiche.
Sono rimasto impietrito dalla paura, perché mai ne avevo visto uno così grosso. Per un po’ di tempo non sono più passato per quella strada. Facevo tutta via San Massimo e poi a sinistra di fianco all’ospedale Giustinianeo per riprendere via Gattamelata. Ognuno di questi viaggi era un’avventura, potrei scriverci un libro.
La caduta del governo Mussolini
Il titolare del negozio era sotto le armi. Aveva anche la tabaccheria lì vicino alla quale badava la moglie e avevano una bimbetta, molto ammalata. Nel negozio Michelon era stato sostituito dalla vicina di casa, detta la Bellina.
La Bellina ascoltava sempre la radio nascosta sotto il bancone. Avevo capito che non era filofascista. Quando ha appreso la notizia della caduta del governo Mussolini mi disse di prendere la scala nel retrobottega e tirò giù il ritratto di Mussolini. Era obbligatorio nei locali pubblici esporre il ritratto del re Vittorio Emanuele III e del Duce.
Quando lo ebbe in mano ci sputò sopra e mi disse: “Vai fuori e rompilo”. Uscito lo appoggiai, completo di cornice e vetro, ad angolo sul gradino d’entrata e con un colpo di sgalmara lo feci a pezzi. Naturalmente la stampa non si ruppe. La tirai fuori dai vetri e legni della cornice e la feci a pezzi. In negozio nei giorni successivi sentivo parlare delle famiglie e persone del quartiere legate al regime: gli adulti di queste famiglie non venivano più in negozio, mandavano i bambini che si presentavano con gli occhi bassi, quasi a sentirsi colpevoli. Mentre noi della parte opposta ci ritenevamo nel giusto. Io stesso dimenticavo che fino a poche settimane prima andavo a fare esercitazioni paramilitari in via Loredan dietro la sede “Ernesto Scapin” del partito fascista.
Pochi mesi e dopo l’8 settembre con l’armistizio le parti si invertirono. Cominciò la guerra civile, da un lato i repubblichini di Salò, dall’altro chi tentava di non farsi arruolare nel nuovo esercito a fianco dei tedeschi.
Questa è una triste storia, conosciuta da tutti.
Toni Schiavon, “Mi sono sbottonato!”, Libro I, pag. 100