La storia di questo frutto ci porta in Armenia. Nei tempi andati Venezia, la Serenissima, aveva il controllo commerciale del Medio Oriente, nonché dell’estremo Oriente di cui il Mediterraneo Orientale era il naturale porto di entrata e di uscita delle merci e insieme delle culture e storie di un mondo poco conosciuto di cui Marco Polo e la regina di Cipro furono degli esempi.
Proprio dall’Armenia Venezia importava l’albicocco, quel frutto vellutato giallo rossastro dal sapore dolce e gradevole. I veneziani al mercato lo chiamavano “armein“, dal luogo di provenienza. L’armenia.
Andiamo ora al raccontino. Il mio fruttivendolo in Piazza delle Erbe, stamane, aveva per terra, in un angolo a parte un cesto, non la solita cassetta di plastica, segno di provenienza dal chilometro zero, pieno di armeini. Così li chiamo, perché mi ricordano i giorni d’infanzia passati in campagna nella casa dei miei nonni materni.
Tra i filari di vigne c’erano degli alberi di frutti diversi: mele, pere, cachi, nespoli, fichi, prugne le più diverse. Due albicocchi in un angolo lontano davano grossi frutti vellutati di colore arancione maculati di rosso, dolci e succosi. Un terzo albicocco era cresciuto dentro ad una siepe di pruni spinosi sulla riva di un fossato, era cresciuto tutto storto, rachitico, i suoi frutti erano piccoli, sodi e pieni di imperfezioni, con il lato rivolto al sole di un rosso cupo e l’opposto verde giallastro. La parte verde aveva un sapore asprigno comunque gradevole, la parte rossa era un nettare degli dei, dove l’aroma di albicocco si esaltava. Era il mio albero preferito, anche perché nessuno dei cugini me lo contendeva, la raccolta era faticosa e dolorosa a causa delle spine dei pruni. Quel cesto del fruttivendolo conteneva gli armeini selvatici da me sopra descritti. Il fruttivendolo si sorprese della mia richiesta e gli raccontai dei miei ricordi d’infanzia.