La temperatura è gradevole, qualche brivido di primo mattino uscendo dal letto. Tanti ma tanti anni fa in campagna era il tempo delle arature, i buoi usciti di stalla fumavano dalle umide froge, io mi imbacuccavo con tutto ciò che trovavo, passata mezz’ora uomini e animali già sudavano.
Appena sveglio e già su WhatsApp giungono a getto fotografie di albe e tramonti incantevoli, seguiti poi nella giornata dagli arcobaleni, alcuni perfino doppi sorgono di tra gli alberi del Carso triestino. Paola ha inviato una fotografia dalla Campania che riprende un mare leggermente mosso, ogni ondina aveva una crestina di schiuma che rifletteva la luce in caleidoscopi monocolori, la luce dei diamanti. Tra le miriadi di sprazzi di luce uno stormo di bianchi gabbiani si mescolano come un tappeto fantastico, sullo sfondo la sagoma scura di una nuda barca con un alto albero senza vela contrasta con il brulicare di onde e uccelli.
Questo quadro naturalistico mi ricorda una situazione analoga che ho vissuto in uno dei miei viaggi. Islanda. Sono in riva all’oceano, l’orizzonte è invaso da una infinità di uccelli, pulcinelle di mare e sule. Volavano dalla scogliera al mare e viceversa in una apparente confusione. Da questa massa volante precipitavano a pioggia gli uccelli per catturare i pesci, risalivano con la preda nel becco e con altrettanta velocità tornavano alla scogliera dove si trovavano i nidi. Era questa una parete verticale alta qualche centinaio di metri, coperta d’erba.Sulle asperità e anfratti l’uno accanto all’altro c’erano i nidi, migliaia e migliaia, dai quali sporgevano becchi aperti e pigolanti a richiamare l’attenzione dei genitori che tornavano dalla pesca. Per quale misterioso richiamo o indizio ritrovassero il proprio nido non lo so dire. Nelle gole aperte dei pulcini il genitore rigurgitava il pesce che finiva il più delle volte in bocca del figlio più forte e prepotente, spesso i meno dotati muoiono di fame. Questo incredibile bailamme dura tutto il giorno.
Con il buio tutti al nido, la cui presenza è segnalata da un continuo mormorio che emerge a stento dallo sciabordio delle onde che non trovano mai quiete in quell’isola spersa al limite dei ghiacci eterni.Alla base della scogliera, dove le onde non consentono all’erba di crescere, emergono migliaia di colonne, sembrano canne d’organo, adiacenti l’una all’altra e formatesi in fase di raffreddamento delle colate laviche.
Il fenomeno del colonnato possiamo trovarlo anche sui nostri Colli Euganei. Alcuni tratti di pavimentazione dei sottoportici in città sono lastricati con massi ricavati da tali colonne.