Vado a mettere in memoria un fatto incredibile di immoralità immensa. Che il tempo trascorso cerca di smorzare.
Il 14 agosto del 2018 a Genova crolla il ponte Morandi e porta con sé 43 vittime. Le prime indagini evidenziano carenze nella manutenzione, si cercano responsabilità. Sono trascorsi cinque anni, la rapida ricostruzione, frutto di unanime impegno dello Stato e delle parti sociali, persino i politici più beceri si sono zittiti. Tutto ciò ha consentito di tacitare lo sdegno dei primi giorni. Il tempo ha steso un velo.
Senonchè un vecchio signore quasi ottantenne, dirigente d’alto rango della società proprietaria del ponte poi caduto, dichiara che, otto anni prima del disastro, durante un consiglio di amministrazione, atto formale, aveva portato a conoscenza del consiglio che il ponte era in pericolo a causa di un difetto progettuale. Nessuno reagì, anzi autocertificarono il buono stato del manufatto.
Quel signore che ha un nome, Gianni Mion, dichiara di non aver dato seguito a rilievo nel timore di perdere il posto di lavoro! Testualmente dice: “Mi rammarico” di quanto accaduto. Lo ricordo: 43 morti, dico io!
A memoria per i posteri si dovrebbe incidere a lettere cubitali il “rammarico” in una stele alle testate del ponte, a eterna testimonianza di tanto vituperato e dell’egoismo umano, che ha la forza di declassare a “rammarico” una colpa infamante. E ancora più perché collettiva.
Quel consiglio di amministrazione dovrebbe essere imbarcato ai remi di un galeone e trasferito in una nuova Sant’Elena in esilio perpetuo. Fantasia!