Ancora uno spunto per parlare dello ieri che preferiamo non ricordare altrimenti dovremmo vergognarci di gridare a gran voce “al lupo” delle cose che non vanno come vorremmo, cioè tutti Paperon de Paperoni!
Al solito proposito, si parla di una pietanza a base di polenta e verdura cotta, mi si chiede se conosco la funzione di una goccia di olio di acciuga sulla polenta. Non la conosco. Conosco però l’uso dell’aringa, sorella maggiore dell’acciuga. La ricordo le aringhe che vendeva il pizzicagnolo, a cui facevo da garzone, che le teneva in una botte ben pressate sotto sale, oppure per i benestanti sotto olio. Parliamo di quelle al sale, le uniche alla portata delle finanze della mia famiglia, erano gli anni 1935-45, avevano il compito, le aringhe, a causa del loro forte sapore, di dare un tono all’insipida polenta sempre carente di sale a causa delle restrizioni alimentari.
C’era una competizione tra poveri, tra coloro che si permettevano di intingere la polenta nel piatto dell’aringa sotto l’olio di semi, quello di oliva era per i ricchi, quello che extravergine è l’equivalente del tartufo di Alba oggi. Gli altri, i più poveri, si diceva che legassero l’aringa a uno spago pendente da una trave dal soffitto sopra il tavolo e i commensali potevano intingere la polenta sull’aringa volante che al contatto lasciamva un filo del suo aroma. Si raccontava questa leggenda a scherno dei poveri più poveri. Non sarebbe male che qualcuna di queste favole reali, come quella di dormire nella camera i cui vetri della finestra erano velati da una lastra di ghiaccio frutto dell’umidità del respiro del dormiente, fossero raccontate ai fautori dell’usa e getta!
Anche se poco usato perché la moda vuole il ricambio!