Libro I Mi Sono Sbottonato! Minuterie Letterarie

La passeraia. Seconda puntata.

25 Aprile 2021

In India – I vampiri

Questo raccontino è ispirato ad una fotografia che mostra uno spicchio di giungla impenetrabile dai cui rami penzolavano strani frutti. Forse quando l’ho scattata, 24 anni fa, neanche mi sono accorto della loro presenza. Siamo in India, all’interno della città di Mandu, una città medievale abbandonata, di notevole importanza, forse la città fortificata più grande del mondo, con 75 km di cinta muraria. Ora ha poche migliaia di abitanti e gran parte della città e le mura stesse sono state fagocitate dalla rigogliosa vegetazione. Il palazzo del Rajia è in buone condizioni e consente una lettura della vita di corte nel momento del suo splendore. Il sistema idrico, le piscine incluse fra le mura del palazzo, persino una di esse attrezzata per gli elefanti. All’interno della grande costruzione è ricavato un cavedio la cui base forma un laghetto che serviva a lavare e dare refrigerio agli elefanti le cui stalle erano adiacenti. Ovviamente ora tutto è in disuso e l’acqua del laghetto è ricoperta, non più usata, da uno spesso strato di poltiglia vegetale verde con qua e là cespuglio di fiori di loto. Un paio di grosse, ma davvero grosse, tartarughe frangevano la melma verde a mó di rompighiaccio e un paio di serpenti di due metri nuotavano sotto la melma, sulla quale lasciavano traccia dei loro movimenti, solo la lingua biforcuta e gli occhi sporgevano. L’aria era pervasa da un fetido odore di marciume.

Usciti dal palazzo ci siamo avviati lungo un viale di alberi esotici. In lontananza si vedeva un albero dalla forma di una grande quercia tutto coperto da festoni scuri di forma romboidale, lunghi 40 cm. A mano a mano che ci avviciniamo cominciamo a sentire una miriade di leggeri squittii, che aumentavano di intensità con l’avvicinarsi. A una decina di metri dall’albero il rumore è intenso, quelli che sembravano stendardi o strani frutti dell’albero erano esseri viventi. Si muovevano e squittivano: erano enormi pipistrelli appesi ai rami, erano vampiri che durante il giorno dormivano in attesa dell’imbrunire per intraprendere la caccia. Anche questi come i passeri, probabilmente, passavano il loro tempo, oltre che a dormire, a scambiarsi informazioni, favole, pettegolezzi.

Toni Schiavon, “Vampiri”, “Minuterie Letterarie”, pagina 60

A Genova

Una particolare forma di passeraia è quella praticata dai pappagalli, i campioni di pettegolezzi e chiacchiere. Allo stato libero li ho trovati in città a Genova, in un giardino, una colonia che si era costituita per la fuga di qualche esemplare importato dalla gabbia. Svolazzavano in gruppo continuando a cicaleggiare passando da un albero all’altro con improvvisi inseguimenti tra loro.

Nei viaggi fatti in paesi tropicali, in particolare in India, ho trovato gli stessi comportamenti in comunità di pappagalli molto più numerose. In particolare voglio descrivere quella stanziata sul “Forte Rosso” a Agra. È questo un com- plesso molto vasto di costruzioni che costituiscono il palazzo di un Rajia in stile Mogul. Trattasi di costruzioni preziose, fanno fantasticare sui fasti di quella ci- viltà. Il “Forte Rosso” si trova alle spalle del Taj Mahal, al di là del fiume Jamuna, tributario del Gange.

I nostri pappagalli sono delle dimensioni di una tortora, di colore verde di molte sfumature. Si muovono a gruppi in voli rapidi e zigzaganti con una sorprendente unità di movimenti così da sembrare legati fisicamente tra loro tanto sono sincroni i loro movimenti. Il loro cicaleggiare è continuo anche nei pochi momenti in cui si fermano sugli alberi o sui tetti delle costruzioni. In questo loro muoversi sembrano incuranti della presenza dei falchi e di qualche aquila posata sul culmine della torre del forte. Addirittura quando sono in volo fanno da scorta ai rapaci, girandoci attorno sempre in gruppo, in voli acrobatici. Alle prime luci del giorno, si ritrovano sul solito albero, a programmare la giornata con chiarimenti e spiegazioni, con grida e sbattimento di ali, per partire quindi per la quotidianità.

Nello Yucatan

Nello Yucatan, nei pressi di Merida, è l’imbrunire, siamo alla fine di un lungo trasferimento in auto lungo la costa ovest, una magnifica infinita spiaggia di sabbia bianca abbracciata dal sole torrido, mare azzurro e onde lunghe e morbide.

Andiamo verso l’interno, sulla sinistra della strada, a qualche centinaio di metri, una lunga e bassa collina fittamente alberata. Data l’ora il sole era basso e stava cadendo dietro la collina, che si trovava quindi in ombra. Forse per questo non ci siamo accorti di quanto avremmo scoperto dopo, quando il sole sarebbe sceso abbastanza da consentirci di vedere gli alberi della collina, letteralmente ricoperti di neri avvoltoi e da qualche aquila dalla testa bianca. Siamo rimasti sorpresi dalla foresta vibrante, pulsava come avesse vita propria. Non sentivamo il gracchiare, ma deve esserci stato un baccano infernale.

Sempre nello Yucatan a Palenque siamo al secondo piano di un bar che dava sulla piazza, con davanti un Margarita. La piazza era delimitata da alberi con una folta chioma dentro i quali svolazzavano una miriade di uccelli, grossi merli dal becco giallo e occhi contornati da un cerchio di piume rosse che emettevano dei fischi potenti per cui tutta la piazza rimbombava di questo strepitio. Anche questi si comportavano come gli altri uccelli di passeraia, alzandosi in piccoli gruppi con movimenti in volo sincronizzati tra loro per poi rientrare a precipizio tra le chiome degli alberi.

Sul Lungotevere

Ma la passeraia più classica penso sia quella degli storni romani sui platani del Lungotevere. L’ultima volta che li ho visti erano nei pressi del Palazzo dei Lincei, i cui giardini danno appunto sul Lungotevere, sul quale troneggiano platani secolari. Come di regola era sera o quasi, in cielo nuvole di storni volteggiavano, in stormi di qualche migliaio ognuno, con grazia e sincronismo tanto da sembrare il volo di una enorme rete contenente i volatili e non singoli esemplari disgiunti tra loro. In questo caso lo spettacolo si svolgeva lontano, le chiome dei platani sono ad almeno una cinquantina di metri da terra e le evoluzioni si svolgevano ben più in alto.

Ogni stormo volteggiava per una decina di minuti e poi d’improvviso, come d’incanto, l’unità si rompeva e gli uccelli cadevano in velocità sparpagliandosi in direzione dei platani bloccando la caduta in prossimità dei rami dove si posavano con eleganza. Era questo il momento delle chiacchiere, lo stridio aumentava tanto che copriva il rumore del traffico sottostante. Quando l’imbrunire si accentuava, come a un ordine, all’unisono gli storni si allontanavano alla rinfusa, probabilmente verso i luoghi di pernottamento.

Padova

Vorrei dare voce anche agli storni di via del Corso a Padova. Sempre con le modalità descritte per gli storni romani, facevano le evoluzioni sopra i bagolari dei giardini dell’Arena, a ridosso della Cappella degli Scrovegni, alla fine però andavano a pernottare sotto i cornicioni dei palazzi del Corso, dove continuavano a pigolare, io dico a chiacchierare, fino a notte inoltrata, quando il traffico e il passeggio terminavano.

Toni Schiavon“Mi sono sbottonato!”, libro primo, pag. 65-67

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