Gli Appennini Emiliani sono segnati dai calanchi quindi un territorio insicuro e poco abitato, pertanto poco produttivo per l’orografia del terreno. Avevo percorso questa strada che all’incirca vent’anni fa era ancora in costruzione, con molti tratti sul vecchio tracciato delle antiche e tortuose strade; era un viaggiare lungo e faticoso. Ancora oggi il fondo stradale è spesso sconnesso, così come è difficile il territorio.
Quando si entra in Umbria il paesaggio cambia, diventa ubertoso, abitato, coltivato, vissuto. Si incontrano cittadine che sono culla della civiltà italica: Sansepolcro, Montefalco, Spello, Assisi, le Fonti del Clitumno. Queste ultime le avevo visitate nel 1969 con tutta la famiglia, così come la Cascata delle Marmore a Terni e altri luoghi dei dintorni.
Foligno
Tutta la città è un cantiere aperto per il rifacimento di strade, piazze con relativi servizi elettrici, telefonici, gas, acquedotti. Le nuove lastricature delle strade sono in pietra tufacea disposta con molta armonia. Molti palazzi sono in ristrutturazione e manutenzione. La città medievale, già di suo bella per l’architettura, di certo non uscita da progetti pensati a tavolino bensì come sovrapposizione di intuizioni dei capomastri, mi sorprende con gli archi che scavalcano le strette viuzze, le strettoie, i portoni con gli stipiti di vecchie pietre di risulta, magari con iscrizioni, di costruzioni romane e a volte etrusche. L’impressione recepita è positiva.
I borghi e le città viste durante il viaggio della zona umbra sono piacevoli, vorrei dire bellissimi, ma temo di essere considerato eccessivo. Mi ricordano i miei viaggi, anche se pochi, degli anni ‘50, dove ogni cosa di questi luoghi mi meravigliava, perché sapevo essere contenitori delle opere di quei geni che furono i poeti, i pittori, gli scultori, gli artigiani che avevano realizzato quei meravigliosi contesti. Tutti personaggi che le poche e incomplete letture scolastiche mi avevano fatto conoscere.
Spoleto
Spoleto l’avevo visitata nel 1969 con Franca, Betti, Marco, Paola, Rita, avrei voluto trasferire anche loro il mio entusiasmo. Forse non ricordano nulla, erano troppo piccoli avevano 10, 9, 7, 6 anni. Spero che l’inconscio ne abbia tenuto traccia.
L’ho ripercorsa pescando nella memoria e aggiungendo particolari significativi. Pietre incise provenienti da ruderi antichi nei muri del Duomo, a significare il sovrapporsi della storia e degli avvenimenti umani, il tutto condito dalle nuove conoscenze maturate nel tempo. Mi accorgo che le esperienze raccolte, ormai posso dirlo, nella mia lunga vita, mi consentono di meglio interpretare e coordinare le conoscenze. Nel percorrere le tortuose e strette vie del centro, sovrastate da palazzi coperti di arabeschi sulle pareti, intravedevo lo svolgersi della vita dei secoli scorsi. Gli intrighi politici, economici, etici, morali così ben punteggiati da Dante nella Divina Commedia e da tutte le altre arti descrittive.
Santa Anatolia di Narco
In viaggio da Spoleto per la Valnerina, nel paesino di Santa Anatolia di Narco, 570 abitanti, per incontrare il signor Alessandro Sabadini, tecnico comunale, che ci guiderà nella visita dei luoghi previsti perché non aperti al pubblico.
È stata una fortunata combinazione l’incontro con questa persona, data la sua conoscenza della valle, della storia, delle consuetudini, degli animali, dei tartufi, degli aneddoti del popolo e dei luoghi.
L’aquila reale
Nella zona nidifica una coppia di aquile la cui presenza si perde nella memoria d’uomo. Il nido è visibile su una parete rocciosa. Il signor Alessandro ci ha raccontato che il nido è all’interno di una grotta ed è costituito da un cumulo di arbusti, paglia, muschio alto un paio di metri. Infatti a ogni nidiata i genitori apportano nuovo materiale, perciò il cumulo continua ad aumentare. Verso il mese di maggio, con i binocoli, si intravedono i pulcini grossi come un pollo che vengono alimentati con le prede cacciate dal padre, mentre la madre presiede il nido e provvede a dividere le prede in brandelli idonei ai nidiacei. A volte il maschio riesce a catturare una preda particolarmente grossa, come una lepre o un agnellino, ma non ce la fa ad infilarla nella grotta perciò si appollaia su una roccia e strilla per chiamare in aiuto la femmina che ha dimensioni decisamente più grosse, 30 cm di apertura alare in più, che si avvicina al maschio e si fa consegnare la preda che porta al nido per smembrarla affinché i nidiacei possano cibarsi. Nel raccontare il fatto il signor Alessandro si sentiva partecipe all’avvenimento, riuscendo a trasferire anche a me l’emozione.
Molti anni fa è riuscito a vedere una fase del corteggiamento della coppia. Il maschio insegue la femmina in quota, a un certo punto con volo rovesciato va a incrociare le zampe della femmina con le proprie e insieme, smettendo di volare, si lasciano precipitare rotolando perpendicolarmente per centinaia di metri, per poi librarsi, riprendere quota e ripetere l’esercizio.
Santa Cristina a Caso
Piccola chiesa con affreschi del XIV secolo sperduta tra i monti lungo una mulattiera. Sul campanile a vela due campane. Il signor Alessandro ci ha raccontato l’avventura ad esse collegata.
Erano gli anni ‘70 quando le due campane vennero rubate, infruttuose tutte le ricerche. Dopo un anno il parroco fu informato, con una telefonata anonima, che in una fonderia di Terni stavano per fondere pezzi di campane. I carabinieri sequestrarono il materiale e trovarono i ladri che furono arrestati. I pezzi di bronzo furono consegnati al parroco che decise di venderli. Il signor Alessandro se li fece consegnare promettendo per voce del Sindaco di regalare due nuove campane alla chiesa appena avessero trovato i fondi.
Nel frattempo il signor Alessandro fece riassemblare i cocci delle campane, incollandoli, con lo scopo di abbellire il cortile del municipio. Durante l’operazione di ricomposizione si scoprì che le campane erano tre e non due, una delle quali era del 1200 e della quale non si scoprì mai la provenienza. Quelle di Santa Cristina erano del 1400.
Finalmente il sindaco trovò i fondi per le nuove campane e Alessandro ebbe l’incarico di trovare la fonderia che individuò ad Agnone, in Lazio, in quella che è da sempre la Fonderia papale. La felicità dei cittadini era alle stelle. Quando le campane furono pronte, il Comune disse di non avere soldi per il trasporto e il montaggio. Se ne fece carico l’Alessandro che con la Panda del Comune andò ad Agnone a prelevarle. Un’impresa epica perché il peso era tale da sovraccaricare l’auto, facendogli impiegare perciò molto tempo a tornare. Arrivò a Sant’Anatolia a notte fonda e con sorpresa trovò tutti gli abitanti ad attenderlo. Gli anziani piangevano, tutti si baciavano a significare la felicità di aver ritrovato un oggetto in cui la comunità poteva identificarsi. Questo fa capire quanto questa gente sia, ancora oggi, legata alla propria terra.
Toni Schiavon, “Mi sono sbottonato!”, Libro I, pag. 188-190