Libro I Mi Sono Sbottonato!

Due insoliti incidenti in montagna

15 Marzo 2021

Casteltesino  è un paese della Valsugana sulla sinistra del Brenta, lungo la strada verso Cima d’Asta. Eravamo in ferie, la Betti aveva sei mesi, un piccolo appartamento addobbato di nudo legno, caldo e accogliente. I vicini, i coniugi Paggetta, la moglie era la figlia del fotografo Danesin di cui ho detto in un altro scritto per fatti di guerra del 1915-18 sulle Dolomiti, erano innamorati della Betti. Facevano compagnia alla mamma quando io tornavo al lavoro. Ricordo quel mese con nostalgia. Il fotografo Danesin

In zona c’era anche un collega di lavoro con amici, decidemmo di fare un’escursione a Cima d’Asta, non difficile ma faticosa. La montagna in quegli anni era abitata e la pastorizia fiorente. Mandrie pascolavano fino agli alti prati a ridosso delle pietraie.

Al ritorno, eravamo ormai a mezz’ora dal paese, quando dal bosco uscì un mandriano disperato che ci chiedeva aiuto: una mucca si era incastrata tra due massi. L’abbiamo seguito. Il sottobosco era un susseguirsi di grossi massi che consentiva un percorso tortuoso, a volte cieco. I sedimenti portati dall’acqua avevano parzialmente riempito i vuoti tra i massi e la vegetazione, l’erba e gli arbusti avevano ricoperto il tutto facendolo sembrare un prato. Una mucca, sfuggita all’attenzione del mandriano, si era inoltrata su quel terreno infido che sprofondò sotto il suo peso: incastrata tra due massi, era incinta con un grosso pancione, le gambe sbattevano nel vuoto. Il pastore era disperato, la mucca ci guardava incredula, sembrava supplicare.

Lungo il sentiero avevo visto una catasta di tronchi: suggerii di infilare i pali sotto i piedi della mucca perché trovasse un punto di appoggio. Non potevamo di certo alzarla di peso per spostarla. Non  è stato facile posizionare i pali sotto le zampe, non stava ferma. Si creò una situazione di stallo. Inaspettatamente la mucca trovò l’appoggio con una zampa anteriore che la fece rovesciare all’indietro. Liberata rimase incredula sdraiata a terra qualche istante poi con un balzo si alzò e via di corsa. La riconoscenza del mandriano fu commovente, temeva di perdere sia la madre che il vitello, per lui era ragione di vita.

Il ricordo di quei massi sparsi mi riporta alla memoria un’altro episodio. Era l’estate dopo il terremoto del Friuli, nel 1976. Quell’anno per le ferie abbiamo scelto Laste nella valle del Cordevole, un paesetto fuori mano molto ruspante. Eravamo in molti e quindi non ci annoiavamo. Nota di colore: noi e la famiglia dello zio Cesco abitavamo nella stessa casa, eravamo in dodici. Una festa.

Nelle vicinanze del paese dal pianoro spunta una gusela (ago). Trattasi di una roccia a pareti verticali alta una cinquantina di metri la cui salita  è possibile percorrendo una piccola ferrata. L’inconsueta stele rocciosa si presta bene ad alimentare leggende. Si dice che al culmine sorgesse un castello e nelle pareti ci fossero caverne entro le quali fossero nascosti dei tesori. Per il nostro gruppo era un giorno di riposo da escursioni in montagna, per cui stavamo passeggiando per il bosco.

Eravamo a un centinaio di metri dalla gusela sul culmine della qualec’era un uomo che non capivamo cosa stesse facendo, aveva un rotolo di corda da fieno a tracolla, le corde che i paesani usano per portare al fienile il fieno raccolto sui prati. Un capo della fune era legato a un albero sul culmine dello spuntone roccioso. Cominciò a scendere in verticale, anzi in sporgenza. Scendeva lentamente perlustrando la parete, ogni tanto dondolava la corda per avvicinarsi alla parete per meglio vedere. Cercava il tesoro delle favole?

A metà altezza fece alcuni gesti scomposti, il rotolo di corda gli sfuggì di mano, e lui precipitò. L’abbiamo visto sparire dietro le cime dei pini. Ennio corse in paese a chiamare i soccorsi. Io con altri di corsa a risalire l’erta per arrivare alla base della gusela, percorso impervio per i grossi massi da aggirare. Arrivati alla base del roccione bisognava trovare il luogo della caduta. Prima individuammo la fune a penzoloni, arrivava circa a una decina di metri dal suolo. Scavalcato un ultimo masso vediamo il corpo disteso su un cuscino di muschio sostenuto da un groviglio di rami appoggiati a mo’ di ponte su due massi. Era esanime ma non presentava ferite. Dopo una buona ora arrivano i soccorsi con una barella e un vecchio medico obeso. Responso:  è vivo, ubriaco, addormentato, non ricorda nulla.

In paese abbiamo saputo che si trattava di un balordo di un paese vicino che viveva di espedienti. Dal giornale abbiamo saputo che subito dopo il terremoto del Friuli, ecco il collegamento, era stato il primo arrestato per sciacallaggio tra le rovine di Gemona.

Tecnicamente, che cosa era successo nella caduta: la corda era più corta dell’altezza dello sperone roccioso, arrivava a pochi metri dal suolo perciò a fine corsa si staccò da una giunta fatta con un paletto annodato e fece appoggiare il corpo sul terreno. Un’incredibile serie di concause: 1. la corta corta quanto basta per arrivare fino a quasi a terra; 2. che si snoda dopo aver assorbito per elasticità la gravità terrestre arrivando a pochi metri dal terreno 3. cadere sul cuscino di muschio posto tra due massi sostenuto dai rami posti a fascina.

Come escludere la presenza di un santo protettore dei bevitori?

Toni Schiavon, “Mi sono sbottonato!”, Libro I, pagina 143-144

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *