Tra gli eventi dedicati alla vela e al mare proposti dal programma FuoriRegata in occasione della Barcolana 2014, regata velica internazionale sul Golfo di Trieste, è stata organizzata al Minimu, il museo dei bambini, la mostra “A tutto jeans, una storia fashion tra Tolmezzo e Trieste”.
Questo tessuto, che tanto è presente nel vestire odierno, si ritiene abbia le sue origini nel Friuli e che, grazie a un imprenditore friulano illuminato, abbia avuto un notevole sviluppo a cavallo tra il 1600 e il 1700. Jacopo Linussio, nella sua “Fabrica” di Tolmezzo, ha dato lavoro fino a 32.000 persone e modificò radicalmente il concetto di organizzazione industriale, inventando tra i primi il lavoro a domicilio per non delocalizzare. Le tele di fustagno, dalla stessa struttura robusta ma lavorabile usata per i jeans, sono documentate in Carnia già dal 1764 e si suppone che la tela jeans fosse prodotta nell’entroterra veneto ben prima che a Genova, dove viene tradizionalmente fatta nascere.
Il 24 ottobre 2014 Ferruccio But mi ha fatto l’onore di invitarmi, come esperto di minuterie metalliche del settore abbigliamento, a descrivere gli accessori metallici utilizzati nella fabbricazione dei capi di abbigliamento ricavati dalla stoffa jeans. Ho descritto la funzionalità di questi accessori, le peculiarità estetiche e le finiture galvaniche che li caratterizzano, le prestazioni tecniche di tenuta /durata e infine i mezzi di produzione.
Un piccolo accessorio che richiede tanta tecnologia, la cui evoluzione nel tempo e la varietà dei materiali utilizzati mi ha portato a percorrere la geografia dei centri produttivi tradizionali (Italia, Padova Lecco, Germania, Stati Uniti) e un arco temporale di più di cento anni.
Il racconto dei mutamenti economici e delle implicazioni sociali che hanno contribuito/costretto allo spostamento da questi centri storici verso i paesi emergenti, Cina, India, Bangladesh, Vietnam, in funzione dei diversi costi di produzione rispetto al mondo occidentale, ha suscitato tra i presenti un interessante dibattito e una discussione di ordine sociologico sul modo di concepire lo sviluppo e il progresso quale elemento di miglioramento della vita.
La vita di chi? di noi? degli altri? intesi questi ultimi quali “terzo o quarto mondo?” oppure di noi e degli altri insieme? Come ottimizzare questi obiettivi? e vogliamo perseguirli? Purtroppo quando ci si addentra in queste riflessioni ci si perde, non so se per mancanza di soluzioni o perché non le vogliamo trovare. Ci siamo salutati portando con noi l’inquietante dubbio che il progresso non accompagnato dal rispetto dei diritti umani, da equità e giustizia, diffusione dell’istruzione, redistribuzione delle risorse, attenzione per l’ambiente, si rivelerà ad un certo punto quale fatale regresso. Nel tentativo di trovare nuove vie vanno promosse le opportunità di discussione su questo tema, pur consapevoli che la complessità della storia umana contiene in sé un intreccio fatale di questi opposti scenari.
Desidero ringraziare Ferruccio But, il Gruppo Immagine e il mini mu, parco dei bambini san giovanni, per il graditissimo invito che mi ha dato la possibilità di ripercorrere nello spazio e nel tempo un mestiere a me molto caro, che tuttora mi coinvolge appassionatamente.