diario dalla finestra di casa Libro II Mi Sono Sbottonato!

3 gennaio 2021 “Il ciclo del pane”

3 Gennaio 2021

Si può avere un’idea della situazione leggendo la sconsolata frase di Zaia, governatore del Veneto: “Abbiamo fatto di più che a marzo e va peggio. Le ordinanze servono se vengono rispettate”. Questo definisce senza ombra di dubbio che non è pensabile che questa calamità ancora sconosciuta possa essere contrastata dal buon senso, dalla buona volontà di chi oltretutto poco conosce, il popolo. Servono decisioni incisive e rapide che solo la dittatura sanitaria può dare e non il mercanteggiare al ribasso dei politici! 

Il ciclo del pane

Oggi parlo del ciclo del pane. Dalla semina al granaio ho già detto in più occasioni. Seguirò ora il percorso dal granaio alla tavola attraverso i miei ricordi. Sono abbastanza sicuro che fosse il  1940 e soggiornavo dai miei nonni materni. Con la zia Giulia prendevamo un sacco di frumento dal granaio, una decina di chili, lo caricavamo sul telaio di una bicicletta da donna perché lo portassi dal mugnaio. La spingevo a mano, ero troppo piccolo per pedalare. Prendevo la argine sinistro del Piovego che confinava con i campi del nonno. Il mulino era al piè della rampa del ponte sulla riva destra, saranno stati un migliaio di metri. Era faticoso, la bici era alta quanto me.

Il mugnaio, che aveva già accordi con la zia, prendeva il sacco e provvedeva alla macina. Ero incantato a seguire il ciclo di lavoro. Una nebbia di farina aleggiava ovunque e copriva tutto. Alla fine mi preparava tre sacchetti. Uno da portare a casa per fare le tagliatelle, uno piccolo per la crusca, il terzo dovevo portarlo dal fornaio perché ci facesse il pan biscotto. Caricavo quest’ultimo che era il più grande e spingendo la bici a mano la portavo al di là del ponte dal fornaio. Il fornaio veniva una volta la settimana nella nostra zona con il biroccio trainato dal cavallo a portare il pane fresco, era un giorno di festa. Ci lasciava così il pan biscotto.

Tornavo quindi dal mugnaio, stavolta spingevo sui pedali senza sedermi sulla sella, non ci arrivavo. Prendevo i due sacchetti che mettevo sul portapacchi e tornavo a casa pedalando. Non per l’argine, era pericoloso, era erboso con due strette tracce lasciate dai carri. Prendiamo la via del centro paese, Noventa Padovana. Mi fermavo sul ponte per guardare il passaggio del barcone attraverso le vasche di sollevamento per adeguarsi ai due livelli del fiume al di qua e al di là del ponte. Mi incantavo. Passavo davanti alla chiesa di San Pietro, la villa Cappello, Valmarana, Manzoni, la conceria Mattioli e in via Cellini, a casa. Un’avventura.

Il viaggio successivo sarebbe stato per macinare il granoturco. In questo caso dovevo farmela tutta a piedi. Nota: durante la guerra a causa della scarsità di viveri, al tempo della mietitura, noi di città andavamo per i campi a spigolare, cioè a raccogliere le spighe che i rastrelli non prendevano. Erano molte. Mettevamo le spighe al sole sul marciapiede di casa, le battevamo e le passavamo al vaglio per dividere il grano dalla pula. Una volta pulito bisognava macinarlo. Mio padre adattò su una macchinetta per tagliatelle un rullo dentato  e con questo macinavamo grossolanamente il grano mischiato con la crusca. Veniva cotto e ammorbidito con il latte o la minestra, sostituiva il riso che non c’era. Altri tempi.

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