Sulla stampa ha perso la prima pagina. A prevalere è la tensione politica, la resa dei conti tra Renzi e Conte, condottieri dell’esercito Brancaleone. L’uno, Renzi, che i sondaggi danno al 3% del favore degli italiani. L’altro, Conte, Primo Ministro per caso non eletto dagli elettori ma messo lì da una forza politica che aveva il 35% dei voti, che alla prova di governo si sono ridotti al 15%. Con campioni come Toninelli e Gigino era scontato che evaporassero. Come vedete i nostri suffragi furono mal riposti. Come abbiamo potuto scendere così in basso!? La realtà è ben altro, 616 decessi Covid!
A compendio propongo, a puntate, il diario di un mio viaggio.
Gujarat, 11-27 novembre 2004. Prima puntata.
Di questo viaggio, il terzo, ho redatto tre diari. Un corto estratto, “Un pomeriggio ad Ahmedabad” già pubblicato, quest’ultimo che vuole riportare sensazioni, emozione, atmosfere. Le stesse esperienze le ho confermate anche negli altri tre viaggi turistici, non solo, ma anche negli altri 15 fatti per lavoro non tanto per attrattive folkloristiche, paesaggistiche, artistiche ma, in questi ultimi di lavoro, nella vicinanza intima con il popolo di tutte le classi sociali. Il Gujarat ne rappresenta l’essenza. Allego fotografie dei luoghi del percorso.
La partenza da Venezia l’11 novembre 2004 alle 6:55 via Francoforte, Mumbay alle 1:35. Il 12 novembre, di primo mattino, si parte dalla “porta dell’India”, arco trionfale eretto in onore al regnante inglese per una sua visita al dominium. È sul porto. Ci imbarchiamo per visitare l’isola di Elefanta nella baia di Mumbay, ex Bombay, per visitare le Cave, caverne scavate nella roccia in onore al dio Shiva nel VII secolo su preesistenti vidara buddiste del terzo secolo. Si tratta di scavare nella roccia il vuoto di una cattedrale con colonne scolpite, statue, animali, soffitti dipinti. Ci sono siti, Aianta-Ellora, che contano una trentina ognuno di queste cattedrali imponenti. Queste sono molto deteriorate, furono utilizzate dai conquistatori, allora Portoghesi, a bersaglio dei loro cannoni, poligono di tiro.
Qui faccio la mia prima considerazione che vale per tutta l’India: il popolo indiano, o almeno la classe colta, non intendo ricca, ma quella depositaria della storia di quel subcontinente così importante per l’evoluzione dell’umanità, ha coscienza degli immensi tesori artistici che posseggono? Perché non li proteggono? Faccio un esempio: in una città abbiamo visto la facciata di un palazzo, una reggia in uno stato pietoso classico esempio di uno stile. In uno spiazzo aperto dove giocavano a cricket dei giovani, c’era un accumulo di marmi istoriati, colonne, architravi, pareti di marmo bianco traforato a merletto a protezione del gineceo del sultano tra i quali erano cresciuti alberelli, coperti di immondizia onnipresente ovunque. Questo stato di cose è comune in tutta l’India. Ufficialmente il patrimonio artistico è protetto con gravi sanzioni ad essere commercializzato. Ma non protetto dal disfacimento.
Tornati in città ci concediamo uno spuntino al Taj Mahal Hotel, simbolo del colonialismo britannico. Quindi al quartiere Dhobi dei lavatoi. Una sequenza di vasche di cemento dove uno sciame di uomini seminudi sciacquano, sbattono, strizzano, asciugano, stirano indumenti, biancheria, stoffe che vengono raccolte e riconsegnate con una organizzazione di galoppini di corsa con il materiale sulla testa. Si dice che non sia mai successo che un pacco di biancheria intima sia finita in un ristorante o che tovaglie e tovaglioli in un negozio di abiti da affitto! Per similitudine la stessa organizzazione è utilizzata per distribuire pasti caldi agli impiegati degli uffici pubblici. Uomini di corsa con un carico incredibile di contenitori di cibo caldo sfrecciano tra la folla che riempie le strade a tutte le ore. Anche in questo caso i clienti dichiarano che mai hanno ricevuto un cibo diverso da quello ordinato! Ho visto di persona sia l’uno che l’altro servizio, per noi è difficile da credere.
Mentre osservavamo il lavatoio dall’alto del ponte che li scavalcava, si avvicinò una donna con abiti tribali a mostrarci degli oggetti di fattura artigianale, tipici della loro tribù normalmente stanziali tra i monti e le campagne. Sono una delle etnie che convivono da sempre. Si sono contate almeno 400 lingue o dialetti diversi in India e innumerevoli variazioni, tanto che è stata decisa ufficiale la lingua inglese. Gli oggetti riportano stilemi artistici che si ritrovano nei templi, lontani nel tempo migliaia di anni. Il gruppo tribale che vedevamo sul largo marciapiede era costituito dal Patriarca dai lunghi baffi e barba neri seduto su una poltrona a schienale alto che fumava, alcune donne intente a seguire un nugolo di bimbi nudi, chi allattava o chi li rincorreva. Una ragazzina lavava dei panni entro delle ciotole con poca acqua che poi metteva ad asciugare sul parapetto del ponte. Non c’erano altri maschi, forse fuori per lavoro!
Una “fraglia”, diremo noi, sono gli scalpellini, anche costoro si muovono spesso con la famiglia al seguito per dare la loro opera laddove richiesta, nella costruzione di templi o case nobiliari. Statue di divinità, portali, davanzali, colonne. Vederli lavorare è un incanto, plasmano il marmo magari tenendolo fermo con i piedi, seduti a terra con le gambe incrociate sotto il sole protetti da uno straccio a turbante. Al ritorno in città una veloce rivisita al Prince of Wales Museum, bellissimo per i pregevoli reperti indiani, e alla vicina stazione ferroviaria Victoria Terminus, imponente edificio in stile indo-gotico.
Toni Schiavon, “Mi sono sbottonato!” Libro secondo, numero 182