diario dalla finestra di casa Nonno, parlami di te

27 dicembre 2020

27 Dicembre 2020

Sono dimezzati i decessi, non vedo spiegazione, ciò non vuol dire che mi dispiace, ma le cose che non capisco mi insospettiscono. Aspettiamo qualche giorno per aver conferma. Anche perché sono in aumento i contagi, al 12.8 %. Domani ci sarà l’allentamento delle restrizioni, si tornerà a vedere le due Italie? L’Italia in fila per lo shopping e quella in coda per il pane e qualche mandarino? L’Italia che studia il modo e il tempo per andare nella seconda casa? E quella chiusa in casa in cerca di un tampone o di una telefonata di compagnia? Leggevo che gli studi sugli investimenti dei fondi europei sono fermi dal 7 dicembre a causa della verifica politica tra le forze di maggioranza. Sembra che stiano cercando di sdoppiare le poltrone sostituendolo con tanti strapuntini per far posto ad altri al tavolo del potere, magna magna.

Dal libro “Nonno parlami di te” a pagina 35 rispondo alle ultime due domande: “Come erano i dintorni della casa dove abitavi quando eri piccolo? Cosa ti ricordi in particolare? Dove abitavi con i genitori prima di andare a vivere da solo?”. 

Nel libro sono inevase ancora una ventina di domande sulle quali devo meditare. Sono state sospese per dare spazio alla stesura del “diario dalla finestra di casa” che vuole dare memoria di questa calamita, il coronavirus. Dalla mia nascita al 1936 abitavo in via Carlo Goldoni. Questa strada correva parallela alla ferrovia vicino alla stazione, era di ghiaino. Molti ricordi sono legati alla ferrovia. Le vecchie vaporiere sbuffanti, ciuf ciuf ciuf e il fumo che a ciuffi si perdeva in coda al treno. Nel cortile interno della casa c’era un pagliaio dove andavano a dormire i gatti. Ce n’era uno grosso e rosso che io credevo fosse una volpe perciò evitavo di avvicinarmi da solo.

Nel 1937 sono andato ad abitare in via Giambellino, una viuzza cieca di poche case, laterale di via Venezia, vicinissima alla Stanga, era la prima periferia della città quindi in contatto diretto con la campagna aperta, luogo di scoperta per noi ragazzini a caccia di rane e girini nei fossi o alla ricerca di qualche albero di frutta da depredare. Vicino c’era una zona recintata da un muro, era un deposito militare di parti di ricambio per automezzi, deposito di vecchie auto sfasciate. Spesso scavalcavamo il muro di cinta per esplorare. Eravamo diventati amici del vecchio cane da guardia. 

Nel 1955, appena diplomato geometra, per ragioni che ho ben descritto altrove, abbiamo deciso di vendere la casa di via Giambellino per trasferirci in una nuova casa di cui ho seguito l’attuazione. Naturalmente abbiamo dovuto indebitarci. Però le condizioni economiche della famiglia erano migliorate perciò eravamo tranquilli. Eravamo in zona San Gregorio, poco distante dalla Stanga. In poco tempo ci siamo sistemati bene. La casa era piena di luce, dotata di riscaldamento, luce elettrica, acqua all’interno sia in cucina che in bagno, una novità per noi. Al piano terra lo scantinato, al primo piano l’abitazione, un po’ di orto. Quasi subito ho incontrato la nonna Franca e abbiamo deciso di sposarci nell’aprile del 1958. Certo non ho potuto godere della bella casa appena costruita ma era diventato fondamentale che io e la nonna Franca avessimo la nostra famiglia.

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