Menu di Natale di casa Favaron: Treccia di salmone alla griglia, Chips di zucca, Chips di cavolo nero, Cappellacci di zucca con amaretti, Mousse di cioccolata con ceci e cioccolato 100%
25 dicembre. Natale, venerdì. Penso che nessuno dei viventi abbia vissuto un Natale tanto improbabile. Spero rimanga unico nella storia dell’uomo. Oggi faccio una digressione. Giorni fa leggevo le dichiarazioni di alcuni incompetenti o solo ignoranti e altri che pur colti cavalcavano idee negazioniste sul virus, insostenibili. Mi è venuto da dire: questi sono “incalmai con i ochi!” Come dire che sono un incrocio (da in-calmare, inserire un calamo, dal greco Kalamos che significa canna, da cui anche calamaio) tra l’umano e un oco, il maschio dell’oca palmipede non troppo acuto di intelligenza. Altra frase sinonimo era “te si indrio come un oco” (sei corto di intelletto come un’oca).
Torno alla parola “incalmo”. Nel tempo trascorso in campagna, 1943-45, aiutavo mio zio in casa dei nonni materni nei lavori campestri. Lo zio mi disse: domani andiamo a incalmare le vigne. Si trattava di innestare un tralcio di uva pregiata, detto talea, in un ramo di vigna ben radicata ma di scarso valore che dà maggior rapporto nutritivo ai grappoli pregiati del tralcio innestato. Non è una mutazione genetica, si potrebbe paragonare all’incrocio equino-asinino per ottenere il mulo o il bardotto che hanno caratteristiche diverse dei genitori ma più congeniali a certi utilizzi. È noto l’uso dei muli in montagna in tempo di guerra nel passato. Nota di colore, qualche anno fa è morto ormai vecchio l’ultimo mulo degli Alpini formalmente arruolato.
Torniamo all’incalmo, innesto. Avevo preparato nella carriola: il cesto di talee di uva pregiata, un secchio di sabbia, un mazzo di stropei che sono i virgulti di salice flessibile per legare i tralci tra loro, la scorza di rami d’albero grossi come un polso lunghi una trentina di centimetri, uno per ogni incalmo. Lo zio con un coltellino appuntiva la talea come fosse un cacciavite, spaccava il corrispondente tralcio madre, poco più grosso per 3-4 cm sul quale veniva inserito il tralcio figlio e li legava saldamente tra loro con gli stropei. In egual modo legava la scorza d’albero attorno all’incalmo a formare un imbuto che veniva riempito di sabbia che annegava l’incalmo stesso. È stato più lungo scriverlo che farlo.
Ai primi tepori primaverili passavo in rassegna gli incalmi per capire se avevano attecchito. Si capiva se l’operazione era riuscita nel vedere i nodi del tralcio figlio che diventavano turgidi, si gonfiavano e emettevano una piccola gemma. In pochi giorni era tutto un proliferare di gemme e poi di foglioline. Il paesaggio della vigna, finora tutto stecchi di color bruno, prendeva un alone verde acqua e in una settimana il color verde prevaleva e il bruno dei tralci scompariva.
Rimando anche al Ciclo della vigna https://nonnotoni.com/2020/07/il-ciclo-della-vigna/
Toni Schiavon, “Mi sono sbottonato!” Libro secondo, numero