diario dalla finestra di casa Nonno, parlami di te

24 dicembre 2020

24 Dicembre 2020

È il 24 dicembre, giovedì. Covid. La situazione non cambia, i decessi sono alti, i contagi sono leggermente in crescita. Dall’inizio della pandemia i deceduti sono 70 mila di cui 35 mila della prima ondata, a confermare che quest’ultima sarà sicuramente più pesante. A complicare le cose la scoperta della variazione del virus anche se non è ancora dimostrato che aggravi la pericolosità. Di certo fa aumentare la paura e spegnere le speranze e questo indebolisce le nostre resistenze. 

Dal libro “Nonno, parlami di te” a pagina 9 rispondo alle domande.

Nonno caro, come si chiamavano la tua nonna e il tuo nonno materno? Ricordi da dove provenivano? Che cosa sai delle loro famiglie, dei loro fratelli?

Il mio nonno materno si chiamava Eugenio Maretto detto “el Moro Mareto” per la sua capigliatura nera, la folta barba che teneva rasata. Lo ricordo sotto il portico adiacente la stalla con il rasoio, un catino d’acqua calda, il sapone, che brontolava perché si faceva dei taglietti sul viso rasandosi con quel lungo rasoio che sembrava un coltellaccio. Aveva la barba dura e ispida. Faccio una divagazione: sotto il portico in alto a ridosso delle travi che sostenevano il tetto facevano il nido alcune rondini. Ogni anno le coppie tornavano puntualmente tramandandosi il luogo dai genitori ai figli per generazioni. A volte ripristinavano il vecchio nido, altre lo facevano nuovo, pertanto quasi tutte le travi erano coperte di nidi magari rotti e abbandonati. A proposito di rondini e nidi, questa è una divagazione forse impropria, ma mi viene da dirla. Stavo visitando in Puglia una vecchia cattedrale imponente, dall’uscita laterale ho visto appena sotto la sporgenza del tetto un fregio che si estendeva su tutta la parete della chiesa lunga almeno una settantina di metri. Il fregio era tale da creare ogni 30 cm un incavo, una piccola celletta. Ogni incavo conteneva un nido di rondine, con gli implumi pigolanti e una miriade di rondini svettanti nel cielo che precipitavano a imboccare i pulcini con gli insetti catturati al volo nella vicina campagna. Era tutto un vociare di strilli.

Questo aneddoto per dire che il nonno aveva un sacro rispetto per quei nidi. Rientriamo nel tema: la nonna si chiamava Giuseppina detta Beppa, era piccolina, sempre silenziosa e dedicata esclusivamente alla cucina, gli ingredienti le venivano portati dalla zia Giulia e lei sulla base di quanto disponibile preparava pranzo, cena e colazione. I piatti forti: minestra di piselli, fagioli e di ogni verdura, la polenta abbrustolita con il cotechino a colazione. Al pomeriggio se ne andava tra i campi e il vigneto a fare una passeggiatina poi rientrava svelta nel suo regno, la cucina. Entrambi erano di Noventa Padovana, della stessa zona, vicini di casa. Erano di povere famiglie di contadini. Quella della nonna erano braccianti che lavoravano a giornata. Entrambi avevano fratelli e sorelle che vivevano anche loro in paese a Noventa Padovana. In paese c’erano alcune Ville Venete a testimonianza della presenza fino a quei tempi di grandi proprietà terriere quindi comunità servili contadine retaggio della presenza di Venezia, la Serenissima, che aveva il suo entroterra nella Pianura Padana fino a Bergamo a ovest, a sud il Po, a nord il Friuli e a est la Dalmazia.

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