Siamo al gioco dell’oca! Abbiamo sbagliato, torniamo alla base. Abbiamo raggiunto il colore giallo non per merito ma per convenienze politiche o di lobby e saremo ricacciati al rosso e intanto tra un ping e un pong noi anziani moriamo. Sopravvivono i più forti o furbi o spregiudicati. La legge della giungla. Sul Corriere a pagina 6 i dati pandemici sono contenuti in un riquadro di 5 x 5 cm, così facendo i 484 morti sembrano meno! È data invece evidenza agli assembramenti nelle grandi città. I cittadini, o meglio il popolo bue di scarso acume, hanno completamente rimosso i camion militari per il trasporto delle bare ai crematori.
Dal libro “Nonno, parlami di te” a pagina 69 rispondo alla domanda: “Ti piaceva andare al lavoro? Qual è stato il tuo primo lavoro? A che età hai iniziato a lavorare? Ricordi qualche aneddoto legato al tuo primo lavoro?”.
“Fare” è esprimersi sulla realtà delle cose, dare loro un volto. Fare è dire il mio amore ai miei cari e alla vita. Ho cercato di farmi capire con le mie azioni. I fatti testimoniano. Le parole spesso volano: “verba volant”, gli artisti parlano con le opere. Io con il mio fare, forse è un’arte minore.
Quale lavoro? Come ho già detto ho cominciato a fare lavoretti che avevo ancora il pannolino, quelli triangolari, e appena smesse le fasce, quelle lunghe strisce di stoffa dura larga una ventina di centimetri che tenevano i bambini ben dritti affinché con la crescita non fossero ingobbiti. Purtroppo i bimbi crescevano storti per il rachitismo dovuto alla nutrizione carente e squilibrata. Ho esagerato sui tempi degli inizi al lavoro ma ho memoria certa di lavoretti casalinghi a 4 anni con mia mamma. Con la nonna Emma non dobbiamo sorprenderci circa la sua propensione al lavoro e a far lavorare, mi mandava sotto il letto a togliere la polvere con uno straccio. Circa i lavoretti del periodo scolastico ho già detto nel capitolo “Il tuo papà”.
Parliamo di lavoro vero, quello legato ai contributi pensionistici, di malattia e infortunio, al contratto di lavoro, alle ferie e alle festività. Tutte condizioni che garantivano la vita anche in prospettiva. Il futuro. Queste prospettive oggi considerate ovvie, allora non lo erano. Il mondo contadino ha raggiunto tali benefici molti, molti anni dopo. Quindi entrare in una grande fabbrica era un miraggio. Ho attraversato il grande cancello azzurro della Zedapa il 30 giugno del 1946, ne sarei uscito, sia pure da un altro sito a Caselle di Selvazzano, nel 1981. La Zedapa era situata in via Gozzi a Padova vicino alla stazione ferroviaria. Fabbricavano minuterie metalliche, occhielli, fibbie e bottoni automatici. Durante la prima e seconda guerra mondiale anche materiale bellico. Fu distrutta nel 1943 da un bombardamento aereo. Quando ho iniziato a lavorare la fabbrica era parzialmente ricostruita, eravamo in pochi, forse un centinaio. Ha avuto uno sviluppo tumultuoso, in pochi anni siamo arrivati a 1000 dipendenti. Molti gli aneddoti di quel periodo. L’apprendistato non era solo al lavoro ma alla vita, alla convivenza all’interno di rapporti gerarchici definiti dove il ragazzino era l’ultimo della scala sociale, il paria da sfruttare non per disposizione dell’azienda bensì per la prepotenza di chi aveva anche solo sei mesi di anzianità più di te. In questo modo anche il lavoro era parcellizzato non tanto in funzione delle capacità bensì in funzione della posizione castale del tuo operaio di riferimento. Passarono alcuni anni prima che un gruppo di giovani scolarizzati riuscisse a sgretolare le carte facendo emergere le capacità di alcuni, anzi molti, che cambiarono lo sviluppo aziendale. Il fondamento era la scolarità e la cultura.
Purtroppo attorno al 1968, data nefasta per molti versi, il fenomeno si invertì, non più caste e livelli di merito ma l’appiattimento salariale, così come per la scuola e l’università. il 36 politico, le lauree di gruppo. Stiamo ancora scontando le conseguenze sociali di quel periodo. Oggi le caste non sono particolarmente rilevanti nelle singole realtà: fabbriche, scuola, università bensì nella finanza globalizzata. È la convenienza economica a dettare le posizioni sociali con conseguenze che vanno ben oltre i perimetri locali e nazionali ma tra gruppi di nazioni Cindia (Cina-India) e USA, l’Europa stessa soffre di isolamento. A noi a livello locale rimane il precariato. Quale sarà il futuro? L’unica certezza è che senza una preparazione scolastico/culturale difficilmente si entra nel circuito positivo.
Torniamo al mio primo lavoro: facevamo turni settimanali dalle 6 alle 16 con mezz’ora di mensa, 9 ore e 30 giornaliere oppure 11:30-22 con mezz’ora di mensa alle 11:30. La cena ci veniva portata sul posto di lavoro. Naturalmente si cenava quando le presse funzionavano. E comunque dopo gli operai anziani. Oggi una simile condizione sarebbe inconcepibile come forma di degrado sociale. Voglio fare però un parallelo: nel 1974 in un viaggio di lavoro negli USA ho visitato una importante e grossa fabbrica di stampi, gli stampi sono gli attrezzi che consentono di produrre in automatico le minuterie metalliche. Stavo visitando il reparto di montaggio degli stampi quando al suono di una sirena gli operai smisero di lavorare, tirarono fuori da un cestello porta vivande il pranzo per consumarlo sul banco di lavoro. Ricordo che uno aveva una grossa patata bollita aperta con sopra burro fuso. Sono rimasto sorpreso di fronte a una situazione, per noi arcaica di vent’anni, in un contesto industriale d’avanguardia. Dov’è il giusto equilibrio? Indiscutibile che il modello statunitense ha consentito un processo economico e sociale superiore al nostro. Però a quale prezzo, se c’è stato un prezzo, il popolo americano ha pagato? Oppure noi abbiamo preteso diritti che non potevamo avere?
Vedi: A) sul piano generale il debito pubblico fuori controllo! B) sul piano emblematico le pensioni a 19 anni e 6 mesi di contributi!
Verrebbe da dire “ai posteri l’ardua sentenza”. Temo però che quando i nostri figli e nipoti potranno stilare tale sentenza i buoi saranno già scappati dalla stalla. Tradotto: con che pensione/soldi e a quale età i nostri nipoti andranno in pensione?