Covid: è uscito il decreto restrizioni antivirus. Ora si attendono i risultati. Considerate le molte norme contestate si teme che molti troveranno modo di aggirarle, vanificandole. Aspettiamo!
Dal libro “Nonno, parlami di te” oggi dirò di mio papà Gino. “Ti viene in mente qualcosa di bello che hai vissuto col tuo papà?”.
Al nonno Gino, mio papà, piaceva andare a pescare. Qualche volta portava anche a me. Alla domenica partivamo molto presto e andavamo sul fiume Brenta. A me aveva insegnato un modo speciale di pesca dove ci volevano riflessi pronti e rapidi. Mi metteva in un posto sicuro, vicino all’acqua, dove nuotavano dei pesciolini a fior d’acqua a caccia di moscerini. Con un sottile filo d’erba rigido muovevo la superficie come fosse una mosca che sfiorava l’acqua. Il pesciolino, credendo fosse un insetto, addentava il filo d’erba e io prontamente lo tiravo su con il pesce attaccato. Ne prendevo a decine. Nonno Gino intanto riusciva a prendere un bel po’ di tinche e carpe che io staccavo dall’amo e mettevo in un sacchetto di rete che reimmergevo in acqua per mantenere il pesce fresco.
Quando tornavamo a casa nonna Emma, mia madre, preparava il tegame per friggere i pesci. Tagliava le tinche e le carpe come fossero bistecche togliendo il più possibile le spine, questi pesci sono particolarmente dotati di spine anche sottilissime pertanto dovevamo stare bene attenti nel mangiarli. Era una festa. A quei tempi eravamo poveri e c’era molto poco da mangiare.
Un ricordo, non legato al mio papà, ma alle ristrettezze alimentari: quando uscivo da scuola elementare in via Belzoni incontravo spesso la Teresa fruttivendola che tornava a casa spingendo il carretto quasi vuoto di frutta e verdura e la aiutavo a spingerlo, abitava proprio vicino a casa mia, e come compenso mi dava un po’ di frutta o verdura, magari un po’ vecchia, appassita, o macadea, ammaccata.
L’allevamento dei colombi: li ricordo grossi, il maschio maestoso e fiero, erano di piumaggio rosso-bruno. Il tempo era tra il 1937 e il 1942. Ho aiutato papà a fare le colombaie. Quattro casette per quattro coppie, ognuna aveva due entrate, dove i colombi si riparavano nottetempo e più importante facevano il nido per la cova. Erano sospese sul muro di casa in luogo riparato dal sole dal vento e ben in alto, lontane dai predatori. Durante la cova, quando la colomba si allontanava per nutrirsi, papà mi faceva salire sulle sue spalle e saliva sulla scala per farmi vedere gli ovetti e successivamente i colombini. Ricordo che aspettavamo di vedere i genitori quando tornavano dai voli in cerca di cibo che trasferivano dal loro becco a quello dei pulcini che continuavano a pigolare sempre affamati.