diario dalla finestra di casa Nonno, parlami di te

29 novembre 2020

29 Novembre 2020

Covid curiosità. Continua con molta professionalità lo studio sulla popolazione di vo’ Euganeo, la prima zona rossa d’Italia diventata laboratorio privilegiato del professor Crisanti. Altro aspetto, La triste storia degli insulti, minacce e violenze a medici e infermieri tacciati di incompetenza e insensibilità verso malati e parenti. Altro che eroi della prima ondata del virus. 

Dal libro “Nonno, parlami di te” a pagina 44 rispondo alla domanda: “Ti ricordi qualche gita interessante?”. 

Ti racconto della mia prima gita in assoluto di cui ho memoria. Ero dai miei nonni materni, forse in vacanza estiva dalla scuola, forse era il 1939. Il parroco di Noventa Padovana, Il paese dei miei nonni, decise di portare i bambini della prima comunione e cresima a vedere i Colli Euganei. Il giorno previsto i bambini si trovarono davanti alla chiesa molto di buon’ora, c’era in cielo ancora qualche stella, una brillava bassa all’orizzonte, mio zio la chiamava la stella delle vacche perché quando la vedeva in cielo così bassa sugli alberi era l’ora di andare ad arare il campo. Siamo saliti su una carretta, era un carro a quattro ruote con un pianale senza sponde. I più grandicelli lungo i bordi con le gambe a penzoloni, i piccoli al centro. Oggi sarebbe una follia trasportare dei bambini in quel modo, a quei tempi noi ragazzini eravamo preparati a ben altri pericoli nei lavori campestri a cui eravamo chiamati. Un grosso cavallo baio partì al trotto non molto veloce ma continuo. Furono ore di viaggio.

Quando fummo nelle vicinanze del primo colle, poco prima di Praglia, l’abbazia, restammo incantati a vedere quel “coso” coperto di alberi che saliva ripido, ripido verso il cielo, nessuno di noi aveva visto una cosa simile. Io avevo intravisto qualcosa quando lo zio Bruno mi portava sulla bicicletta ad Abano. Ci fecero scendere e ci lasciarono liberi di provare a salire. Per noi era come salire l’argine del Piovego, che passa in fondo ai campi di mio nonno, per cento volte di fila. Raccogliemmo le brecane, un’erica, a testimonianza del viaggio. Per il padovani in gita sui colli era consuetudine raccogliere le brecane. La merenda-pranzo era già finita durante il viaggio di andata, le sporte erano tristemente vuote. Per fortuna il cappellano, il gregario del parroco, che ci accompagnava, esperto della cosa, aveva portato un sacco di pane biscotto e uova sode in abbondanza. Anche quando fummo più grandi ogni gita finiva puntualmente così e non sempre c’era qualcuno previdente con le scorte. Non avendo orologio stimavamo il tempo con il sole, il risultato era che alle 10 la merenda era finita con il pranzo e alle 13 lo spuntino del pomeriggio. Del ritorno ricordo solo l’arrivo alla chiesa con le mamme che aspettavano, io e la mia cugina Delia. Molti erano pacificamente addormentati, i più piccoli, sul pianale della carretta e tutti bruciati dal sole. 

Dirò di quegli anni di una quasi gita a Venezia con mia mamma della quale ricordo solo il viaggio con il tram della Veneta che correva per via Venezia, Ponte di Brenta, Noventa, Strà, Dolo e Fusina da cui si proseguiva in vaporetto di cui non ricordo nulla, mentre ricordo tutto del tram, le fermate ai caselli identificati con numeri. Esempio il casello 7 era quello vicino al Ponte di Brenta a Strà.

Il viaggio più importante, fino all’età di 19 anni fu il pellegrinaggio a Roma in occasione dell’anno santo del 1950. Il gruppo era costituito da alcuni del mio clan e alcuni del clan di San Francesco, in tutto una ventina. La meta finale Roma visitando strada facendo, anzi treno facendo, Firenze, Arezzo, Cortona, il lago Trasimeno e quindi Assisi infine Roma. Il tratto tra Cortona e Assisi era previsto di farlo a piedi cucinadoci i pasti e dormendo in tenda, salvo non trovare per strada ospitalità presso patronati, istituti di suore, conventi che ci permisero di non utilizzare quasi mai la tenda, e spesso qualche pranzo e cena. Fu un susseguirsi di avventure a ogni ora di ogni giorno.

Ne racconto solo tre. Se rimarrà qualche pagina bianca ne dirò qualche altro. Eravamo in fila indiana sul ciglio di una strada bianca, polverosa al passaggio di auto e camion, piuttosto radi, camminavamo lentamente per il caldo infernale e per il pesante zaino e per qualcuno per i dolori ai piedi, questi ultimi dovettero proseguire in treno. Ci sorpassò un camion con il cassone vuoto e scoperto, si fermò e quando lo raggiungemmo l’autista ci chiese se volessimo salire facendoci risparmiare un bel po’ di strada, andava a Perugia ed eravamo in prossimità di Cortona. Rispondemmo di no, eravamo in pellegrinaggio. Avrà pensato che fossimo un tantino matti. Ripartì incredulo.

Sempre succintamente il secondo. In una sosta pranzo ero io cucina e stavo cucinando un minestrone naturalmente condito con il dado e un po’ di olio. Mi allontanai lasciando il controllo del fuoco a legna a Frate Nazzareno, un Francescano che sarà missionario per tutta la vita in America Latina. Un aneddoto: soffriva di ragadi ai calcagni, calzava i sandali francescani, tanto che sanguinavano e per alleviare il dolore aveva nella sua saccoccia una cotica di maiale che strusciava sulle ferite. Al mio ritorno fra Nazzareno se ne andò. Ho controllato il punto di cottura alzando il coperchio del pentolone. Sorpresa: era pieno di erbe, rametti più diversi, il frate era un esperto di erboristeria! Da quel giorno nessuno più abbandonò il controllo delle pentole.

Potrei raccontare cento di questi aneddoti. Ancora uno. Siamo sul lago Trasimeno alcuni decisero di prendere una barca per fare il bagno, erano questi i fratelli Merlin. Dovettero allontanarsi molto dalla riva, la siccità aveva prosciugato un bel po’ al lago. Finalmente pensarono di essere in acque profonde, Alfredo decise di tuffarsi, salì sul bordo in mutande e giù di testa. Si impiantò sul fango rimanendo con le gambe fuori dal lago. Pronto il fratello Armando lo prese per le gambe e lo tirò a bordo. Noi che abbiamo seguito la vicenda della riva stiamo ancora ridendo. Poteva essere una tragedia. Beata gioventù! Ho detto di queste gite perché riguardano l’infanzia e la giovinezza. Da adulto ne ho vissute molte altre ben più importanti e perigliose le cui destinazioni troverai alle pagine 95, 95 bis e 96. Di alcune troverai dettagli in altri miei scritti e in future descrizioni. 

Visto che è rimasto un po’ di spazio a piè di pagina aggiungo due righe sulle attrezzature disponibili in quei tempi. Di macchine fotografiche ne avremmo avute forse tre, dirò di quella dei fratelli Merlin. Era un cubo di 10 cm di lato, ruggine, le foto risultavano con un taglio trasversale per una fessura, crepa, che lasciava passare un filo di luce. Da un lato della scatola usciva un piolino di sezione quadra dove si innestava una farfalla, come quelle per caricare le bambole parlanti, perduta, per cui quando Alfredo aveva fatto una foto gridava: “Armando buttame ea pinsa che go da girare ea rodeetta del rodeeto dee fotografie”.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *