Covid. Aumentano drammaticamente i decessi, 853, giornalieri: diminuiscono però i contagi. Statisticamente una buona notizia, emotivamente è una tragedia perché ci dice che i decessi resteranno alti ancora per molto. È la conseguenza di aver ritardato e/o impedito il contagio in precedenza. Speriamo che ciò ci insegni a evitare i superflui contrasti sulle feste natalizie.
Oggi ricorre la Giornata Internazionale Contro la Violenza sulle Donne. La questione sussiste e forse è ancora peggiore di quanto conosciuto. L’origine di questo male della società trova una miriade di motivazioni e giustificazioni. Partendo da tempi remoti si pensava che l’uomo, più forte fisicamente, fosse preposto alla difesa e alla caccia per cui aveva prevalenza sui bimbi, le donne, i vecchi. Da questo presupposto considerare l’uomo comunque prevalente il passo è breve, per cui diventa ovvia la sudditanza delle altre componenti della famiglia. Tale situazione si protrasse fino alla prima metà del secolo scorso. Lo testimonia l’accesso al voto delle donne, oppure nella parabola dei pani e pesci a cui si riferivano i cinquemila uomini intesi come capifamiglia, o ancora nel sette-ottocento la conta della popolazione che si faceva sui capifamiglia.
La cesura della seconda guerra mondiale ha evidenziato l’apporto delle donne nello sforzo bellico e di sopravvivenza delle famiglie senza la presenza degli uomini indaffarati a morire nel grande gioco della guerra. Anche questo non fu sufficiente per cambiare le cose, rimanevano condizioni sociali che impedivano la parità di genere, l’opportunità. Ora dico di un fatto di cui fui protagonista. Erano gli anni 1955-70. Lavoravo in fabbrica e, pur giovane, avevo la responsabilità di un reparto di 200 persone di cui un terzo donne. Queste ultime erano dedite a lavori secondari di servizio, solo alcune facevano lavori di solito svolti da uomini. Proprio da queste iniziò il mio comportamento ritenuto anti genere: destinavo loro lavori semplici e ripetitivi in modo che fossero rapidamente produttive, mentre ai pari lavoro maschi insegnavo le cose più difficili in vista di spostarli nel settore dove era richiesta la massima professionalità. Il mio comportamento non era dettato da atavico maschilismo bensì da una razionale economia di lavoro. Infatti le donne lavoravano in fabbrica tra i 16 e i 21 anni per poi sposarsi e dedicarsi alla famiglia, non c’erano allora le condizioni sociali perché potessero mantenere il lavoro. Pertanto la mia azione di sostituzione femminile con i maschi si allargò a tutto il reparto e poi, per similitudine, all’azienda tutta. Da allora si è aperta una crepa con il sindacato e le donne stesse per avere intaccato una fascia particolarmente a loro utile. Tanto restò nella memoria questo episodio che nel 2019, insieme a Rita, ho incontrato un industriale e la moglie che negli anni 60 erano in Zedapa, che mi accusarono ancora del misfatto.
In questi anni sono cambiate radicalmente le condizioni sociali atte a ridurre gli ostacoli alla realizzazione della parità di genere. Non dimentichiamo che la memoria genetica consolidatasi nel tempo dalla nascita dell’umanità è difficile da sradicare. La si può accelerare attraverso la cultura, l’umanesimo, l’educazione civica, non certo con la civiltà del “tutto subito”. Basta un piccolo inciampo per cambiare le cose, il Covid. Un aneddoto: non so dove e quando ho letto che lo sbadiglio è una reminescenza di quando agli albori della specie respiravamo con le branchie!