La curva dei contagi è in fase di sospensione, come quando si lancia un sasso verso il cielo, sale rapido e si ferma un istante e scende, con la differenza che il Covid nella similitudine sembra dimenticarsi di scendere, speriamo si svegli e scenda.
Noi intanto troviamo il tempo di dilettarci con facezie del tipo: A) la ministra Azzolina ai compari di governo dice, voi volete aprire negozi, ristoranti, piste da sci, io chiedo di riaprire le scuole. Un ibera tutti di un sesto della nazione! B) l’indagine sui dati falsi forniti dalle regioni per conquistare un colore un po’ meno rosso. Il numero dei morti è secondario. C) il numero dei commensali per Natale, perché per Capodanno ci penseremo poi, saranno legati alla consanguineità o alla convivenza o al colore dei capelli (sarcasmo). Vogliamo capire o no che il problema è che non dobbiamo incontrare persone che sono in contatto con altri anche se sono nostri figli!
La regola ideale è: 1) non incontrare nessuno, è l’unica possibilità sicura 2) ogni incontro con uno o più persone aumenta il pericolo, a ogni aggiunta, in modo esponenziale. Per chiarezza vuol dire che aggiungendo 1, 2, 3. .. non aumenta di 1, 2 , 3… il pericolo ma aumenta di 1, 2 , 4, 8 , 16, 32 , 64, 128, 256 volte nell’ipotesi più benevola. È stupido perciò “menare il can per l’aia” in cerca di estorcere restrizioni più leggere. Ogni cedimento è una sconfitta. Se il popolo non capisce tocca a chi lo rappresenta la responsabilità di mettere i “paletti” di cui saranno responsabili. Nota: anche se poi le responsabilità svaniscono come neve al sole, vedi le aperture delle discoteche e viaggi all’estero di quest’estate quale causa principe della seconda ondata Covid.
Dal libro “Nonno, parlami di te” a pagina 39 rispondo alla domanda: “Quali auto circolavano quando eri giovane?”.
Dobbiamo suddividere il tempo: “Quando ero piccolo”. Primo periodo – Dal 1934, di cui ho qualche spiraglio di memoria, al 1941 che di anni ne avevo 10, abitando vicino alla stazione ferroviaria i mezzi di locomozione erano i treni. Frequentando l’osteria della zia Norma vedevo spesso qualche motocarro, a tre ruote, che portava le bottiglie di gassosa, aranciate, chinotto, birra, liquori e vino. Quando qualche volta mi accompagnavano in centro città vedevo ovunque i tramvai e qualche camion, pochi, i trasporti avvenivano con carri trainati da cavalli.
Quando nel 1937 ho cominciato ad andare a scuola e abitavo alla Stanga, sulla strada che collegava Padova con Venezia ho cominciato ad aver memoria delle auto. Ricordo la Balilla, un tantino alta, aveva un gradino per facilitare il salire. Ricordo che su Corso del Popolo tra il ponte all’altezza di via Trieste e la stazione ferroviaria c’era il centro vendita della Fiat con la relativa officina di riparazione auto. Si vedevano invece camion, avevano quel lungo muso che ospitava il motore, l’avviamento avveniva manovrando una manovella sul frontone del vano motore. Durante la guerra, data la scarsità di combustibili, i camion ma anche qualche auto erano dotati di un sistema, lo chiamavano “a carbonea”. Era costituito da una caldaia cilindrica attaccata di lato al mezzo, che bruciava non so bene quale specifico combustibile che alimentava il motore. La scuola era in via Belzoni, in città pertanto era più facile vedere delle auto. Ricordo anche la Topolino.
Secondo periodo, che va dal 1941 al 1945. Con l’avvento della guerra, si vedevano spesso mezzi militari i più diversi, prima tedeschi e dopo la fine della guerra i mezzi degli alleati, camion Dodge e l’auto principale la Jeep. Dopo il 1945 non ero più “piccolo” , ho cominciato a lavorare in fabbrica quindi “uomo”. Forse pre-uomo, quasi uomo.