“Nonno, parlami di te”, pagina xx.
Covid. Il ministro Speranza, sanità, dice: la curva epidemica è terrificante, in questa situazione anche la scuola non è intoccabile. Non c’è tempo e modo di fare prove o tentativi parziali. Il nodo da sciogliere è così aggrovigliato che non vedo via d’uscita. Mi affido a chi è più competente e/o più coraggioso perché individui una soluzione.
Ora continuo a parlare di mia mamma. Dal libro “Nonno, parlami di te” rispondo alla domanda: “Ricordi qualche canzone poesia o filastrocca che ti ha insegnato la mamma? Te la ricordi ancora a memoria? “
Quando andavo all’asilo con la mamma cantavo: “Addio mamma vado all’asilo, vado all’asilo per tutto il dì! grembiule bianco cestino al fianco, cestino al fianco Gesù nel cuor”. Ricordo invece quando ero più grandicello che mi raccontava storie di vita campestre. Queste parlavano del fiume che tracimava gli argini, di lunghi periodi di siccità, di temporali con grandine che distruggevano i raccolti. In quei frangenti venivano esposti ramoscelli di ulivo benedetto e immagini di santi protettori. Erano storie tristi di una vita difficile. Vedi “Il cestino dell’asilo” nel libro “Mi sono sbottonato” a pagina 9.
“Ti ricordi di qualche episodio della tua infanzia che la tua mamma ti raccontava? Era emozionante, allegro o spaventoso? Descrivi dei bei momenti o belle avventure vissute con la mamma”.
Già da molto tempo, almeno due anni, passo lo sguardo su queste domande senza riuscire a focalizzare ricordi che dessero qualche risposta. Raschiando il fondo del barile, la memoria, ho cercato di fare un elenco di momenti vissuti insieme alla mia mamma, al di fuori di contatti in casa, senza risultato.
Ne è venuto un elenco di fatti insignificanti, dei quali alcuni sono riportati in altri scritti, che vado a trascrivere così come mi si sono presentati alla mente: qualche volta in visita ai nonni e zie materne in bicicletta, a trovare mio papà Gino in ospedale quando ha perso la vista a un occhio per un incidente, con i miei fratelli ricoverati in ospedale, pediatria. A trovare la zia Speranza, vicina di casa, nei pressi della Chiesa della Pace, in via Goldoni. A messa alla chiesa della Pace dopo la quale ci davano pane e latte in canonica. All’asilo all’Arcella, alla chiesa di Sant’Antonin, mi faceva attraversare la ferrovia e poi andavo da solo, qualche volta in farmacia vicino alla stazione ferroviaria, in Prato della Valle, alle giostre, poche volte. Una volta a Venezia con il tram della Veneta, di cui ricordo pochissimo. Rarissime volte a scuola, forse due: una volta in prima elementare il primo giorno di scuola, l’altra per iscrivermi alla scuola di avviamento al lavoro in via Brondolo dietro al Duomo. Una volta alla Sacra Famiglia a trovare i vicini di casa, i Caron, di via Giambellino, che lì si erano trasferiti. C’è ancora quella casa.
Mi viene spontanea una domanda: è mai possibile che non abbia ricordo di essere stato vicino a mia madre? Ho tentato qualche risposta: era troppo impegnata con i miei fratelli piccoli e con i lavori fuori casa? Eravamo poveri. Io mi ero reso fin da piccolo indipendente. Voglio sottolineare che non sono mai stato in conflitto con mia madre e tantomeno con mio padre, che avevano fiducia nel loro ometto. Devo dire però di non sentire il bisogno di approfondire la ricerca di risposte. Semplicemente eravamo così.