Parliamo di ricordi che mi consentono di rivivere certi momenti come una nuova vita, li vedo con occhi diversi, non tanto per rinnegare, ma per “completare”.
Da “Nonno raccontami di te” a pagina 11 la domanda: “Descrivi dove abitavano e come vivevano i tuoi nonni materni. Ti ricordi come erano? Erano buoni o severi? E quale era il loro lavoro?”
Quanto risponderò lo si troverà forse più volte nel corso di questo libro, spero di non contraddirmi, penso di no perché attingo dalla memoria cose vissute. La fantasia subentra solo quando voglio descrivere le sensazioni provate, le emozioni vissute. I nonni materni abitavano a Noventa Padovana in una casa colonica in via Cellini. La casa e il terreno, loro dimora da sempre, sono diventate di proprietà subito dopo la fine della guerra, nel 1946. Precedentemente i nonni erano a mezzadria sotto i marchesi Manzoni. Facevano i contadini insieme al figlio, lo zio Nino e alla zia Giulia, che vivevano insieme. Con loro c’era anche la Delia, mia cugina, figlia della zia Giulia. La Delia faceva la sarta.
Il nonno era burbero, silenzioso, solitario. Da quando ho memoria non lavorava più sui campi, si dedicava alla stalla. Era malato ma non lo dava a vedere. Di certo mi voleva bene perché spesso, lui così solitario, dedicava del tempo a insegnarmi a curare gli animali: mi ha insegnato come individuare i nidi facendo la posta ai genitori che portavano il cibo ai nidiacei, mi insegnò a capire quando prendere i pulcini prima che imparassero a volare. Mi introdusse alla cura dell’orto, alla semina e al trapianto delle verdure, mi spiegò il tempo delle piantumazioni, quali accorgimenti durante la crescita, il rincalzo a sostegno delle piantine, i paletti di sostegno, l’innaffiamento, il tempo della raccolta. Mi diceva tutto ciò che riguardava il suo spazio d’azione quasi fosse un passaggio di testimone. Un aneddoto: c’erano dei grossi topi, pantegane, che frequentavano la stalla. Decise di eliminarli. Quando entravamo nella stalla fuggivano da una finestrella posta sopra la mangiatoia delle mucche. Sul balcone avevano roso un angolo da cui uscivano. Nel giorno della caccia mi chiamò. Chiuse con un tappo di legno il foro sul balconcino per togliere ai topi la via di fuga, lasciando semi aperta la finestra interna. Entrammo all’improvviso nella stalla. Quattro toponi fuggirono sul balcone, il nonno prontamente con una lunga pertica, predisposta allo scopo, chiuse la finestrella imprigionandoli nel poco spazio tra finestra e balcone, sembravano impazziti. Il nonno attraverso un piccolo foro sul balcone soffio dello zolfo polverizzato con il mantice usato normalmente per irrorare le foglie delle viti come antiparassitario, con lo scopo di avvelenarli. Ho visto la loro morte in diretta attraverso il vetro.
Per un verso ero contento che fosse stato risolto il problema dei topi, dall’altro rimasi scosso, anche se giustificato, per aver dato la morte a una vita. Poteva essere intesa come una sfida tra il bene e il male.