Sono venuto in possesso di un documento, non so come chiamarlo diversamente, un tassello di storia della nostra società. È del 7 gennaio 1956. Proviene dalla profonda campagna di allora, proprio all’inizio del territorio chiamato dal piovese (Piove di Sacco) la “Saccisica”. Terra di latifondi spesso paludosi, ricchi di pellagra ed emigrazione, dei casoni, case con il tetto a cuspide coperto di paglia, terra di povera gente incolta e reietta. Sembra un territorio lontano dalla dotta Padova, in realtà ne dista solo cinque chilometri. Oggi è la nostra prima area industriale, semplicemente un borgo di prima periferia: Camin.
Ritengo che chi leggerà questo componimento di un alunno di quinta elementare non riuscirà a collocarlo nel contesto odierno, tanto sembra di un altro evo. Questo alunno ha, se vivente, circa settantacinque anni, solo uno della mia età, ottantanove anni, può capire quelle parole, frasi, pensieri, stati d’animo.
Per coincidenza ho vissuto in quell’ambiente durante la guerra, nella limitrofa Noventa Padovana, dove ho vissuto prima di lui le stesse esperienze di vita. Quello che mi ha drammaticamente colpito è stato il divario culturale tra me di Padova, quindici anni prima, e il livello di quella scuola, perciò della gente della contrada. L’altro aspetto l’umanità espressa da quel maestro che ha corretto quel tema, la sua sensibilià giudicante, sia pur con la rozza espressione usata: “cretino, hai fatto un sacco di errori, ma il contenuto è davvero originale”. È firmato. (Illeggibile).
Le prime due pagine del quadernetto, oltre la copertina, sono vergate a punizione, come era consuetudine a quei tempi: scrivere per dieci volte la frase motivo della punizione. “Non devo dare pugni e calci ai miei compagni”, ripetuto per dieci volte, non era proprio di suo gradimento, come dirà nella prima frase del componimento.
Prosegue: Camin 7 gennaio 1956
Tema: come hai passato le vacanze di Natale?
Svolgimento.
A questo punto posso solo inserire le foto dello scritto perché intraducibile.
Ci sono sottolineati dal maestro gli errori. In un caso c’è una traduzione: anitra per “masaro” (masaro d’anatra, normalmente preposto alla riproduzione, che finiva di solito a tavola per il pranzo di Natale).
Ero tentato di farne traduzione, ma toglierei l’originalità al testo.
Toni Schiavon, “Maturazione e progresso, un tema del 1956, “Minuterie Letterarie”, pagina 68