Sto per intraprendere la scrittura del diario di viaggio in Cambogia e Laos del gennaio 2007. La fonte informativa mi è data da una decina di fogliettini del brogliaccio giornaliero del percorso, dal programma ufficiale pieno di nomi complicati e pomposi e di indicazioni meravigliose che si trovano descritte nelle patinate guide turistiche. Ci sono due pagine scritte, appena tornato, di un giorno particolare di cui non volevo andasse perduta la memoria. L’ultima fonte, la più importante, è la mia memoria, preposta a ricordare tutte quelle cose che non trovi nelle guide turistiche ma che sono la linfa che alimenta e dà vita alle cose viste. Sono trascorsi 13 anni, sarà un bello sforzo.
Si è trattato davvero di un viaggio fantastico, stimolò la mia fantasia per il viaggiare, per le letture sul misterioso estremo Oriente, il mitico Mekong, la giungla. Prima di partire ho studiato i due paesi in generale, nelle guide gli specifici luoghi e in un grosso tomo bibbioso la storia di quei popoli, la loro civiltà, le interconnessioni con i popoli vicini, dall’Indocina di cui fanno parte, all’India da cui hanno ereditato cultura e religione e, dai confini opposti, alla Cina con la sua millenaria civiltà.
Il viaggio. Partenza il 19 gennaio 2007.
Venezia-Roma-Bangkok-Phnompenh. In albergo il 20 gennaio alle 10, viaggio interminabile. Nel pomeriggio facciamo un giro di ambientamento. È una città coloniale per una lunga permanenza europea ma già ben indianizzata per biciclette, moto, risciò, folla e traffico. In riva al Mekong una miriade di negozietti turistici dozzinali. Ci portano al mercato russo, sorto al tempo della presenza militare sovietica, un ammasso confuso di capannoni collegati tra loro entro i quali si trovano, uno appiccicato all’altro, negozi e bancarelle di ogni tipo: parrucchieri, frutta e verdura, cimeli russi, sale giochi, pesce e carne, ferramenta, sale massaggi, stoffe e sartoria e di tutto e di più!
21 gennaio. Si va ai luoghi canonici, non si possono non vedere, il Palazzo Reale, la Pagoda d’argento, il ricco museo di arte Khmer, quindi ci immergiamo nel mercato russo. Dobbiamo guardarci l’un l’altro dai ladri, si dice siano ben organizzati. Ci si sposta strusciandosi tanto è l’affollamento, facciamo qualche acquisto di poco conto. È evidente un commercio di sopravvivenza. Qui penso non esistano regolamentazioni. Quel che succede è solo a tuo rischio. Non potevamo non vedere, se pur di sfuggita, la tragica prigione lager dei Khmer Rossi nel tempo della dittatura di Pol Pot. Furono giorni oscuri per la Cambogia.
22 gennaio. Da Phnompenh verso sud nella provincia di Takeo, al tempio Phnom Chisor del sesto secolo in alto sulla collina, rifatto nel XII secolo e ora in rovina. È suggestivo perché allineato con la strada reale, la piscina quadrata all’interno dei confini della città oggi inesistente, segnati da un terrapieno e relativo fossato/canale di difesa. Solo dall’alto del tempio si legge la topografia dell’antico insediamento. Quando si scende nulla si intravede.
Nota: tra i ruderi del tempio c’era un vecchio sui 72 anni, nero e incartapecorito, accompagnato da una ragazzina, che in nostra presenza ha scritto una storia di Buddha su una sottile corteccia intingendo il pennino in un liquido ricavato da alcune bacche raccolte lì vicino. Ce l’ho ancora, gelosamente conservata e leggibile. A seguire, vicino a un monastero c’erano tre torri in mattoni in sfacelo, sembravano tre roccioni dolomitici circondati dai ghiaioni di scolo. Davanti al portone del monastero, sulla strada, c’era un telo sul quale del riso cotto era steso a seccare. Un colombo becchettava e il monaco guardiano non ha fatto una piega. Il successivo tempio è Ta Prohm del sesto secolo, legato al frullamento dell’oceano di latte, con il cobra Naga e gli uomini di stirpe divina. Questa leggenda la troveremo espressa a Angkor Wat in un bassorilievo di un centinaio di metri alto due. Una scultura incredibile che ripercorre la storia del mondo.
Nel percorso di ritorno si è osservato il vivere dei contadini e pescatori. Le case sono su palafitte, ma essendo nella stagione secca sotto la casa era installato un telaio manuale per tessere sciarpe, scialli, stoffe in cotone e seta dai colori magnifici. Lì vicino la barca per le inondazioni, la scrofa nera enorme con una miriade di porcellini grufolanti. Ho un modellino in legno di quelle case. E ancora abbiamo osservato la raccolta dei frutti della palma da zucchero. Lungo le strade il solito affollamento di mezzi preposti al commercio di ogni cosa.
23 gennaio. Si va verso Kampong Chhnang, tipico villaggio, e la pagoda Wat Nokor, coperta di prasat, figure femminili e sculture che rendono le pareti una sequenza di merletti. All’interno la pagoda del dio Indra che cavalca l’elefante tricefalo. La visita prosegue a Phnom Proh, la collina dell’uomo, di fronte a Phnom Srey, la collina delle donne. Luogo della leggenda della sfida tra uomini e donne per cambiare le regole circa il dovere delle donne di chiedere la mano all’uomo. Le donne con un sotterfugio vinsero e invertirono la regola. Il Tempio degli uomini, pacchiano, e quello delle donne invece severo e bello.
Aneddoto: stavamo seduti su una panchina a chiacchierare con un giovane monaco. Ai nostri piedi una grossa scrofa nera faceva il bagno di polvere. Un po’ più in là una donna vendeva banane che teneva dentro un cesto chiuso. Pierluigi ne comprò un grosso caspo, costavano poco, e le appoggiò in un angolo per pagare. Girandosi per raccogliere le banane non le trova: una grossa scimmia al centro del cortiletto le sbucciava e le mangiava, tra le risate di tutti e la sua ira.
Riprendiamo il viaggio, ai lati della strada una infinita piantagione di alberi della gomma, caucciù. Ogni albero era inciso elicoidamente e lungo l’incisione scorreva la linfa fino a colare in un barattolo. I raccoglitori in bicicletta passavano tra gli alberi e vuotavano i barattoli in bidoni legati alle bici per il trasporto alla fabbrica. Io non l’ho visto, ma penso che il lavoro di raccolta fosse organizzato con raccoglitori a piedi e galoppini in bici alla fabbrica. I portatori vuotavano la linfa in un grosso tino, con un continuo viavai. Visitiamo la fabbrica: il tino di raccolta dosa la linfa in un canale di cemento percorso da un rigagnolo d’acqua e acido coagulante, sempre percorrendo il canaletto i componenti si mescolano e si rassodano. Dopo un centinaio di metri un tapis roulant a setaccio convoglia il rassodato in un apparecchio che lo sminuzza, lo impatta, lo lava e lo pone in cesti di acciaio che vengono indirizzati ad un forno per la cottura. Il tutto completamente automatizzato, solo qualche controllore. Lungo la strada, sul ciglio e sul fondo del fossato asciutto, c’era un laboratorio all’aperto di sculture, leoni, Buddha, divinità. Mi ricordavano gli scalpellini indiani anche loro all’aperto sotto il sole. È evidente l’origine comune di questi popoli. Qui ho un ricordo un po’ nebbioso.
Siamo saliti, verso il tramonto, su una collina lungo il sentiero a piedi, alcuni sono saliti sul baldacchino di un elefante per arrivare in cima. Un tramonto incantevole, il sole all’orizzonte che affondava tra gli alberi della giungla lasciandosi alle spalle un alone infuocato.
24 gennaio. Ci trasferiamo da Kon Pong Thom a Siem Reap. La prima visita a Sambopprei Kuk, un complesso di templi all’interno di una città completamente invasa dalla foresta, gli alberi sembrano polipi che avvolgono i muri, le cui radici si protendono come edera senza foglie e dopo qualche metro convergono a formare il tronco che sale verso il cielo e a un’altezza di una trentina di metri dal suolo formano un ombrello di fronde. I templi sono del VII secolo, all’inizio dell’impero Khmer. Sono importanti per la storiografia.
Ci fermiamo su un ponte-diga del XII secolo le cui numerosissime arcate hanno l’ampiezza di un paio di metri. Fa parte di quel complesso di opere idrauliche che servono a regolamentare l’invaso del lago nel momento di piena del Mekong. Durante il percorso ne abbiamo trovati altri. A fare da corrimano del ponte due Naga, cobra, scolpiti su tutta la sua lunghezza, a difesa del maligno. Abbiamo visitato altri templi quasi tutti in sfacelo, fagocitati dalla giungla. Alla sera, al mercato di Siem Reap ho acquistato le cicogne pescatrici, sono ora sospese sulla libreria.
Cicogne pescatrici
25 gennaio. Questa è una giornata chiave del viaggio. Visitiamo una serie di templi per la cui collocazione nelle dinastie si possono consultare le guide, io mi limito a dar voce alle mie sensazioni. Il santuario Prah Ko, costruito prima del 1000 con le statue di Nandin il sacro bue, cavalcatura di Shiva. A seguire il tempio montagna, con gli imponenti Naga che valicano il bacino. E ancora costruzione templari del 1000, sede dell’impero prima che si trasferisse ad Anghor Wat, considerato quest’ultimo uno dei monumenti più belli del mondo.
26 gennaio. Si comincia con il celeberrimo Bayon dedicato al Buddha caratteristico per le molte facce scolpite, enorme sulle pareti del tempio. Nelle gallerie interne descrizione scultoree della storia Kmer. Mi sarebbe impossibile descrivere i dettagli di ogni sito, riporto solo gli stringati appunti del brogliaccio:
- Le costruzioni sono molto ravvicinate fra loro
- Phimeneanakas e Baphoun all’interno della città Pinkor
- Pre Rup tempio indù. Ricostruito da archeologi italiani.
- Mebon su un’isola del bacino Baray orientale
- Il Prea Khan simile al Bayon
- Neak Pean circolare con quattro cappelle
- Prasat Kravan, cinque prasat in mattoni
- Srah Srang, bagno reale
- Bantey Kdei, monastero buddista.
Un dettaglio che non ricordo in quale sito: è una entrata trionfale, una lunga galleria coperta, ai lati della quale si aprono una continua sequenza di stanzette, forse abitazioni per i monaci, cappelle votive o luoghi di preghiera indù, abitazioni di famiglie. Un gran numero di stanze non ha più il tetto, crollato, e vi sono nati alberi radicati sul pavimento e sulle pareti, che poi si uniscono dando vita al tronco che svetta verso il cielo. Anche la via trionfale è coperta qua e là di ruderi che si devono aggirare o scavalcare, una gimcana. In un altro luogo una processione di elefanti a grandezza naturale scolpita su una parete rocciosa.
27 gennaio. A 30 km da Angkor, il complesso Kbal Spiem, un ponte naturale sul fiume, sul letto del quale sono scolpite mille linga e immagini buddiste. Si cammina in montagna fra alberi altissimi. Bantey Srei, cittadella delle donne per le sculture bellissime su pietra rossa. Bantey Samre, coperto di bassorilievi. Bantey Kdei con la terrazza che dà su un grande bacino. La mucca vitellino appena nato! Sulla strada di ritorno visitiamo una scuola di artigianato, pittura, scultura su legno e pietra.
Angkor Wat: il punto focale di questo viaggio. Da lontano, al di sopra della foresta si intravedono le guglie altissime del monumento. Il complesso templare è all’interno di un vasto bacino artificiale superato da un ponte ornato da minacciosi Naga che ci porta al cortile interno e qui si alza la mole del tempio. La visita alla torre centrale è faticosa, su ripidissimi gradoni ma vertiginosa in discesa. Ho avuto paura. Le incisioni scultoree sulle pareti delle gallerie sono grandiose e stupende. Si leggono affascinanti storie, leggende e imprese di quel popolo.
28 gennaio. Per una decina di giorni siamo stati in Cambogia vagando da un angolo all’altro del paese, sovrapponendo mille sorprese per i grandiosi monumenti dei Khmer e le loro imponenti opere idrauliche sul territorio atte a regolare le piene del Mekong benefiche come il Nilo in Egitto. La destinazione Laos ci sembrava, a questo punto, riduttiva, quasi di riempimento dei giorni rimasti del viaggio.
Il diario di viaggio prosegue, vedi il 18 agosto 2020, Laos
Toni Schiavon, “Mi sono sbottonato!” Libro secondo, numero 183