Oggi vi racconto della mia scoperta del senso archeologico.
Così come per tante altre argomenti, avevo letto di archeologia, egizi, romani, Paestum, il lazzaretto nuovo a Venezia eccetera, fino a quando ho capito che l’archeologia è la lettura della vita degli uomini così come la geologia è la lettura della vita del nostro pianeta. Vedere i sottili strati geologici di Bletterbach, gli eventi traumatici della terra, o l’evolversi di ere lunghissime dovute all’innalzamento della crosta terrestre che ci consente di trovare esoscheletri marini incorporati nelle rocce d’alta montagna.
Eravamo nei dintorni di Kampil, nel primo viaggio in India e Lucio l’archeologo, amico nonché accompagnatore, mi mostrò una collinetta o meglio un montarozzo che i contadini da sempre scavano per utilizzare la terra recuperata quale concime per i loro campi. Ho chiesto lumi.
Quella collinetta è la sovrapposizione nei millenni di insediamenti umani alternati ad abbandoni, quindi coperta di vegetazione, si trattava dunque di un composto organico perciò di un buon concime. A conferma mi mostrò la parete verticale del montarozzo scavato che mostrava i vari strati succedutesi nel tempo. A questo punto mi fece vedere una fotografia di qualche anno prima, scattata durante uno dei suoi periodi di studio-ricerca nella vicina Drupadkila. Proprio di quella parete verticale sulla quale si vedeva la sezione di un pozzo rivestito di giare in terracotta sovrapposte ovviamente ora occluse dai detriti, vedi foto a pagina 131 di un libro di cui dirò, ora non più visibili perché asportati dai contadini quale materiale concimante.
È stato questo piccolo fatterello a farmi capire cosa vuol dire archeologia: leggere su quelle giare sovrapposte la vita di uomini di millenni fa. La loro preparazione tecnologica, la cottura della terracotta eccetera. Eravamo in questa zona perché Annamaria e Lucio ci portarono a visitare il luogo delle loro ricerche archeologiche che da anni frequentavano alla ricerca di Kampilia, una capitale Panchala, le cui tracce sono su antichi scritti indiani. Attraverso ricerche satellitari hanno individuato un sito, Drupadkila, sul quale hanno fatto scavi che hanno descritto in un loro libro: “Kampil archaelogical study of a site in the ancient kingdom of Panchala“.
Alle pagine 119-120 e 121 dello stesso libro sono da segnalare il ritrovamento di alcuni piccoli oggetti in terracotta da tenere in mano a mo’ di amuleti, si suppone, molto simili a quelli che ho potuto vedere nel museo di Dorgali a Nuoro, Sardegna, di epoca romana e ad altri simili ritrovati a Santarem in Portogallo, di epoca medievale.
Ebbene, questi oggetti tanto simili ritrovati in luoghi così lontani, solleticano la fantasia a scoprire quali arcani motivi li accumunano. Ma ancor più mi incuriosisce sapere: a quale esigenza della mente umana rispondono? Esigenze comuni, difficili da individuare vista la lontananza culturale tra l’India e la Sardegna.
Quando penso all’archeologia mi sento come un bambino che a seconda delle letture che fa o dei film che vede, sogna che da grande farà l’eroe se vede un film di guerra o il pirata se legge Salgari o l’astronauta se vede lo sbarco sulla Luna. Così io in quei giorni avrei voluto essere archeologo come volevo essere geologo a Bletterbach.
Toni Schiavon, “Mi sono sbottonato!” Libro secondo, nr. 160