Oggi ho terminato di riscrivere, partendo dai vecchi appunti, il diario di un viaggio fra i più significativi per ciò che ho visto o, per meglio dire, che ho vissuto.
Tamil Nadu 16 gennaio-13 febbraio 2002
Il viaggio da Venezia a Bombay via Parigi dura 22 ore con arrivo in piena notte. Prima impressione: in aereoporto folla trabordante ovunque, difficoltà a mantenere i contatti tra noi. Lungo la strada una sequenza continua di tuguri, dormienti sul bordo della strada, sporcizia dilagante.
2 febbraio. Taxi, 15 rupie, al museo Giorgio V, si entra nel contesto indiano. Interessante. Un negozio di antiquariato, a pranzo un tocco di mondanità all’hotel Taj Mahal della fine dell’800. Nella vicinanza l’arco della porta dell’India monumento per la visita del re d’Inghilterra. La casa di Gandhi. Quindi alla collina di Malabar, panorama sulla baia; nota di colore le torri del silenzio sulle quali venivano esposti i cadaveri dell’etnia farsi per essere mangiati dai corvi. 11 settembre 2023 – Le Torri del silenzio
Ho comprato da una signora con due bimbetti un ventaglio di penne di pavone, ora trofeo sul muro dello studio. Occasionalmente abbiamo assistito a una parte di una festa nuziale: sforzo incredibile quanto pacchiano dai costi insostenibili, le famiglie si indebitano per anni per sopportarli. In successivi viaggi ho approfondito la conoscenza del fenomeno che ho descritto in un altro racconto.
Il primo commento a questo secondo viaggio in India è di incredulità a fronte di tanta miseria, non solo nelle periferie ma anche all’interno delle zone dei grandi alberghi dove le baraccopoli sorgono in appoggio proprio degli alberghi stessi. In un altro viaggio, anni dopo, ho assistito allo smantellamento di una baraccopoli con la ruspa a ridosso di un albergo in occasione di una visita di Stato il cui corteo passava nelle vicinanze. Questa situazione risulta ancor più stridente se confrontata allo sfarzo dei matrimoni o alle magioni dei ricchi, magari isolate, le cui entrate sono sorvegliate militarmente.
3 febbraio. Visita a Bhaja-Karla. Grotte del II secolo a.C. scavate a basilica a tre navate. Karla, I secolo d.C., ritenuto il più grande tempio dell’India, scavato nella roccia con colonne in stile ashoka. Nota di colore: incontro con un gruppo corale di Pune, scambio di indirizzi, così come con una scolaresca di diciottenni. Anche oggi nel trasferimento nelle campagne abbiamo conferma del sovraffollamento, disordine, miseria, sporcizia.
4 febbraio. In volo per Chennay, l’antica Madras: visitato la città, il museo, il tempio ricoperto da migliaia di statuine colorate, cerimonie religiose, folle di pellegrini. Visitato la chiesa di San Tommaso apostolo che portò il cristianesimo in India. Qui è stato sepolto. Su tutto aleggia sempre lo stesso disordine e la sporcizia. Nota: Tiberio, visitando il mercato, nella zona abbigliamento ha ordinato alcune camicie su misura, per poche lire, consegnate poi in albergo poche ore dopo.
5 febbraio. Si parte per Kanchipuram. Strada facendo visitiamo il tempio di Ekambareswarar, non dipinto, con vasca rituale, una sala di 540 colonne. Il tempio Kailasanatha, il più antico, bello, importante per l’architettura del Sud. A Mamallapuram: i templi sulla spiaggia dei cinque fratelli Pallava e della comune consorte Stipati, le statue di Nandi il toro, la parete di roccia scolpita che rappresenta il Gange, il tempio sul mare semisommerso. Il sito è davvero bello, intriso di religiosità indù.
Lucio ha una colica renale, in ospedale bombardano il calcolo e ci raggiunge in taxi dopo 2 giorni.
6 febbraio. Visita al Forte Gingee (Senji Fort): sorge su tre colli, c’è un palazzo reale, scuderie, quartiere per i soldati, grandi magazzini, stalle e grandi vasche per i bagni e per il lavaggio degli elefanti. Quartieri separati per i familiari del re, concubine, vedove, dignitari. Bello il tempio a Shiva.
Nota di colore: le strade asfaltate a tratti si riducono ad una corsia per consentire la battitura del riso dalla paglia sfruttando il passaggio dei camion ad andatura ridotta. I contadini tra un camion e l’altro rivoltano la paglia per rifinire il lavoro per sostituire il battuto con fastelli da battere. Ho avuto modo di vedere questa usanza anche in altre parti dell’India.
7 febbraio. Da Pondicherry a Arikenedu, un piccolo villaggio di pescatori, in un passato lontano era un porto che trafficava con l’occidente come confermato dal ritrovamento di monete romane. Un piccolo museo ne raccoglie i reperti. Divagazioni su questo luogo di così importante passato che ora è una insignificante cittadina, povera ma dignitosa. Gente cordiale.
Sul gradino di una porta di casa una mamma seduta che con un pettine inconsueto toglieva i pidocchi e loro uova dai capelli della figlia. Si trattava di un pettine a forbice, ne ho fatto uno schizzo, che raccoglieva gli insetti e uova staccandoli dai capelli: alla fine chiudendo la forbice sentivi il crepitio degli insetti schiacciati. Tra gli alberi di mango e tamarindo ruderi di epoca medievale, cocci ovunque.
Un vecchio indiano in perizoma ci faceva da guida mostrandoci qua e là tracce di scavi archeologici. Ho raccolto qualche perlina di vetro e bastoncini forati. La giungla era tutto un cicalare di uccelli, upupe, falchi, merli indiani e altri che non conosco. Nel pomeriggio il vecchio ci portò in un minuscolo museo dove erano raccolti dei reperti che un suo nipote archeologo, dice, ha trovato in zona. Nel diario, in bozza, avevo scritto altre considerazioni.
Sulla riva del fiume fangoso un uomo raccoglieva vermi da esca. Il bagnasciuga era invaso da una miriade di piccoli granchi rossi. In lontananza una piccola mandria di bufali attraversava il fiume. Controsole alcune imbarcazioni a filo d’acqua con uno o due uomini lanciavano le reti a larghe volute. Il tutto immerso in una leggera foschia luminosa che rendeva i contorni confusi. Una barca si avvicina e scopro che è costituita da alcuni tronchi legati insieme con corde vegetali. Il galleggiamento è garantito dal diverso peso specifico acqua/legno. Con due uomini sopra i tronchi si immergono tanto che gli uomini sembrano camminare sull’acqua. Rudram, l’autista, ci spiega la differenza tra la noce di cocco e una noce simile ma con un comparto unico invece che tre.
Davanti la porta di casa, sia essa di lamiera o mattoni, le donne, ogni mattina, tracciano con polvere bianca dei disegni geometrici o floreali. Sul lungomare un memorial di Gandhi con colonne recuperate dalla fortezza di Gengee. Visitiamo l’Ashram Aurobindo, uno dei molti luoghi di elaborazione del pensiero indù.
8 febbraio. Tempio a Gangaikonda Cholapuram, una foresta di colonne. A Darasuram il tempio è invaso dalle acque per le recenti piogge, il carro processionale è una magnifica scultura, colonne ed elefanti formano un complesso architettonico notevole. Visitiamo una fabbrica di bronzetti a cera persa: in un capannone buio con il personale seduto per terra riconosciamo tutta la catena di produzione, preparazione, fusione, rifinitura. I visitatori scavalcano uomini e cose per vedere.
9 febbraio. Thanjavur: il tempio di Brihadishvara che risale a prima del mille, con la torre vimana di 66 m con sopra la torre gopuram di 81 tonnellate! Dipinti capolavori della dinastia Chola. Del palazzo reale è importante la biblioteca, il museo dei bronzi. Folklore: l’elefante che ringrazia se fai l’elemosina.
A Thiruvarur, il tempio di Tyagaraja tra i più grandi in Tamil con cinque giri di mura. Folla per la festa di Nandi il toro bianco, mitica cavalcatura di Shiva. Le donne sussurrano i loro desideri all’orecchio della statua. Lungo la strada frequenti strettoie stradali per la battitura delle spighe di riso sotto le ruote degli autoveicoli. Non solo ma anche per l’asciugatura e setacciatura. La campagna è rigogliosa. Le statuine guaritrici
10 febbraio. Thanjavur – Madurai – Tiruchirappalli: il forte sulla cima di uno sperone di roccia che si alza sulla città è suggestivo. A pochi chilometri il tempio di Ranganathan di Vishnu, forse il più grande dell’India, chiuso da recinti, non visitabile per i non indù. Siamo saliti sul tetto di una costruzione per vederlo dall’alto, ha una sala di circa 1000 colonne.
Lungo la strada, seduto sul ciglio, un uomo fabbricava con una piccola incudine e un minuscolo braciere ferri per ferrare le zampe delle mucche Spicchi di paesaggi indiani. Ancora, in uno spiazzo ombreggiato da frondosi pipal, alberi sacri, era installato un primordiale sistema per la fabbricazione di cordame ricavato dalla peluria del cocco. Trattavasi di tessere il cordame tra avvolgitrici lunghe una cinquantina di metri. Più avanti produttori di vasi di terracotta al tornio verticale a pedale. Casualmente ho assistito ad un funerale, che ha bloccato il traffico per mezz’ora. Le donne hanno seguito la bara lanciando fiori, ad un certo punto si sono ritirate, allontanandosi dal feretro perché ritenute impure. Curiosità: dalla campagna si alza solitaria una collina il cui profilo è di un elefante sdraiato. Madurai, città convulsa!
11 febbraio. Visita al tempio Meenakshi, enorme. Si ritiene che i vari padiglioni siano ricoperti di 33 milioni di statue variamente dipinte. Folla, sale, colonnate scolpite con cavalieri alla caccia della tigre, anche qui l’elefante che ringrazia per le offerte. Pranzo pepato!
Nella visita ad una grotta, un tempio scavato alla base di uno sperone roccioso, abbiamo trovato i componenti di un villaggio, uomini, donne, bambini venuti al tempio per festeggiare il rito della foratura delle orecchie delle bambine. Tutti a terra a mangiare in due file parallele su foglie di palma per tovaglia e foglie di banano per piatti. Il tutto sotto il costante pericolo di furto da parte di uno stuolo di scimmie che ti tolgono il cibo dalle mani.
12 febbraio. Madurai, periferia. Un piccolo santuario incastonato tra i palazzi di abitazione con statue terrificanti all’ingresso. Uno dei pochi templi dove si fanno sacrifici di sangue, capretti, polli, che poi vengono cucinati e mangiati insieme. Noi siamo arrivati il mattino dopo la festa per cui c’era ancora sangue e i resti del banchetto. Era immondo, nuvole di mosche ed insetti. In un angolo un’enorme tamarindo sacro, dicono abbia 2000 anni, la cui base è un dedalo di percorsi tra le radici. Attorno all’albero vengono depositate le offerte, latte, uova e frutta per il cobra che, secondo la leggenda, vive al suo interno.
Si sono viste invece tre grosse pantegane che bevevano nella ciotola del latte. Successivamente due di loro si sono prodigate al trasporto di un uovo: una ha abbracciato l’uovo a quattro zampe mentre l’altra traendola per la coda la trascinava all’interno dell’albero. Degrado, puzza, mosche, sporcizia! Si riparte in aereo per Aurangabad.
13 febbraio. Visita alla fortezza Daulatabad, che sorge su uno sperone di roccia di una settantina di metri. Mai espugnata ha capitolato per isolamento. Ai piedi del picco un doppio giro di mura fortificate per una città che non c’è più. E poi si va alle grotte di Ellora. Sono 34 templi scavati nella roccia nell’arco di molti anni da diverse sette. 12 sono buddisti, i più vecchi. 5 jain, 17 indù. la numero 16 è importante perché ricavata da un unico blocco di roccia di 90x60x60 metri. Non descrivo le grotte, non potrei dire nulla con competenza, sono solo sorprendenti.
14 febbraio. Da Aurangabad alle grotte di Ajanta del Maharashtra le cave sono un ciclopico lavoro di scavo e asporto di roccia. Sculture imponenti e cicli pittorici all’interno di buie caverne. Al rientro ci siamo trovati in mezzo ad una caotica festa di matrimonio, tamburi, trombe luci abbaglianti. Nel giardino lo sposo vecchio panciuto attende la futura sposa bambina.
15 febbraio. Da Aurangabad a Bombay non ricordo molto, ho solo memoria che all’arrivo l’aereo rullò su una pista radente la recinzione, oltre la quale una cinquantina di metri di prato e subito dopo una baraccopoli sotto gli alberi. Il prato divisorio era la latrina di quell’agglomerato di baracche di lamiera. Qua e là accucciati uomini con il rituale pentolino di acqua di fianco.
Anche questo è l’incredibile India.
Libro secondo, numero 124 “Bombay e Tamil Nadu”.