Libro II Mi Sono Sbottonato!

Posina, campo scout 1948

7 Giugno 2020

Era un paesino nella zona dell’Astico. Il movimento scout, appena rinato dopo la parentesi fascista, era ancora allo stato ruspante. Ogni attrezzatura era un fai da te: tende, zaini, scarponi erano residui militari, e anche certi atteggiamenti organizzativi risentivano dell’ormai defunta organizzazione fascista, certo senza averne la percezione. Diversi anni dopo capimmo la differenza del diverso modo educativo della democrazia.

Anche le cibarie predisposte per il campo erano UNRRA, piano Marshall. Il famoso, grease de galino, noi lo chiamavamo così, era crema di arachidi. Il camion per il viaggio era un residuato dell’esercito Usa, un Dodge, con le panchine di legno e la carlinga di tela. Sulla strada di terra battuta sollevava una nuvola di polvere, all’arrivo eravamo tutti dei fantasmi imbiancati. Così i bagagli, dovevamo sbatterli prima di piantare il campo. Per fortuna vicino avevamo un ruscello a pozze, sembravano tante tinozze per cui bene si prestavano a lavori di uomini e cose. Era però glaciale.

Milanato, uno della mia sestiglia, cadde in una di queste pozze, profonda, e non sapeva nuotare. Albertino si tuffò e lo recuperò con l’aiuto dei presenti. Erano entrambi paonazzi, tremavano come foglie. Il capo portò una bottiglia non so di che cordiale: Milanato si rincuorò, Albertino, astemio, quasi svenne per la reazione, lo abbiamo scaldato con frizioni, coperte e tante risate.

Durante la permanenza abbiamo costruito un ponte di legno per scavalcare il ruscello. Gli abitanti ci dettero le travi e noi la manodopera, Luigino, un quasi geometra, il progetto. Bel lavoro! Mentre svolgevamo le nostre attività di campo, in particolare la sera durante il falò che chiudeva la giornata, venivano a vederci oltre ai paesani anche qualche villeggiante, erano pochi in quei tempi, tra questi c’era una ragazzina davvero bella con due trecce monumentali grosse e lunghe. Giorgio, uno di noi, si invaghì e la cosa si concluse qualche anno dopo con il matrimonio. Era la Adriana.

Tutta questa premessa per raccontare di un incidente. Nel programma dell’attività era prevista un’uscita notturna di orientamento. Era una notte buia buia e senza luna. Solo le stelle per orientarci. A dire il vero bastava seguire la strada che portava al Passo Xomo, poco più di una mulattiera militare lascito della guerra 1915-18 che portava alle gallerie del Pasubio, nevralgiche per il teatro di guerra. La cosa risultò più impegnativa del previsto. Al ritorno, ancora notte fonda, mi sono fermato per esigenze idrauliche, appena un metro di lato dal sentiero tracciato, quanto bastò per intralciarmi su un filo spinato nascosto tra l’erba del ciglio della strada che mi fece cadere sul filo spinato stesso, uno spuntone mi si piantò sulla coscia sinistra e strusciò la carne per una quindicina di centimetri. Feci una fasciatura di fortuna tenuta ferma da un pezzo di tela legato intorno alla gamba. La mattina di buon’ora siamo andati dal vecchio medico di condotta che fece una cucitura. Mi è rimasta una lunga cicatrice. In quelle zone di guerra il filo spinato era sparso ovunque e il tempo non era ancora riuscito a trasformarlo in ruggine, così com’era consueto trovare schegge di ordigni bellici o scatolette metalliche delle razioni alimentari dei soldati.

Scrivo di seguito di un altro incidente in montagna, conclusosi nell’ambulatorio del medico del paese. Eravamo in vacanza a Padola in Val Comelico. Diverse famiglie di amici con i figli per le ferie estive. Noi uomini, alcuni, con i figli più grandi, facevamo escursioni impegnative sulle molte vie ferrate della zona. Decidemmo di fare un’escursione importante, la strada degli Alpini nell’alta Val Fiscalina, aperta anche ai meno esperti in quanto meno esposta e più lineare nel percorso, il tempo era buono. Non c’erano allora le previsioni del tempo di oggi, perciò le sorprese erano frequenti. Durante la notte ci fu un temporale, però il giorno si presentò splendente. Ci siamo portati in quota in auto di alcuni che non venivano a camminare, che sarebbero venuti a prenderci alla sera al di là del Passo Sentinella, al Rifugio Lunelli. L’avvio sulla strada degli Alpini si presentò
scorrevole, fermo restando che si trattava sempre di uno stretto sentiero da percorrere in fila indiana. Arrivati quasi al culmine, nei pressi del passo, ad una svolta dietro uno sperone trovammo un manto di neve di una decina di centimetri caduta durante la notte con il temporale appunto. Il guaio non era la neve bensì la perdita di ogni traccia di sentiero. Fidandoci di alcuni di noi che l’avevano già percorsa e la brevità ad arrivare al passo, decidemmo di proseguire seguendo il battistrada passo-passo. Eravamo a pochi passi dal valico, qual e là la neve non c’era più. Alcuni pensarono che il pericolo fosse ormai scongiurato e sopravvanzarono per una traccia di sentiero posta più in alto del sentiero normale che io percorrevo mentre guidavo. Non mi ero accorto della deviazione di alcuni e ne feci le spese. Erano più in su di una decina di metri e camminavano tra i sassi mentre noi eravamo ancora sulla neve. Sentii un botto in testa, un ciottolo grosso come una noce mi aveva colpito di striscio, col risultato che in pochi istanti ero coperto da un mare di sangue messo ancora più in evidenza dalla neve arrossata. Pochi minuti e fummo sul passo dove sostammo per verificare l’entità della ferita, tutto sommato modesta rispetto al sangue sparso. La cosa si concluse dal medico del paese con un cerotto a clip.

Morale: l’importanza di non abbassare mai la guardia in montagna. Cosa che si impara a proprie spese con l’esperienza. Nota: a quei tempi il casco era quasi sconosciuto. Lo adoperavamo nelle ferrate o nelle ascensioni perché esposti alla verticalità delle pareti rocciose.

Toni Schiavon, “Mi sono sbottonato!” Libro secondo, nr. 151

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *