Le letture hanno destato il desiderio di conoscere il mondo. Desiderio parzialmente soddisfatto negli ultimi dieci anni. Purtroppo le incombenze della vita non hanno consentito scelte diverse. In ogni caso non ho rimpianti, solo qualche nostalgia per le infinite conoscenze che il mondo propone.
La ricerca. Storia e sensazioni
Trattasi di una indagine, di un cercare, svoltosi continuativamente dal 1946 al 2016 nel campo tecnologico della lavorazione di nastro metallico per la produzione di minuterie metalliche. L’evoluzione tecnologica del settore è stata enorme ma, in una nicchia molto limitata, quella dell’imbutitura, lo sviluppo è stato molto più lento rendendo necessario sviluppare in proprio una ricerca specifica. Forse la causa principale di questo rallentamento evolutivo è dovuta alla dimensione marginale dell’imbutitura rispetto al vasto mondo della lavorazione delle lamiere metalliche, oltre a molte altre delle quali non è importante parlare.
I primi dati scritti relativi alla tematica in oggetto sono datati 1963. A mia memoria già da una decina di anni erano in corso prove di miglioramento. Un aneddoto relativo allo scritto del 1963: mi ero ammalato e costretto a letto per 15 giorni. Passavo il tempo in letture ma spesso pensando al lavoro. Ho riempito fogli di ipotesi specifiche sull’imbutitura, anche in altre lavorazioni. Tra le tante idee, a volte paradossali, una la elaborai riservandomi di provarla praticamente. Grazie all’idea esplicitata nel 1963 si è avuto un miglioramento rapido e insperato fino a quadruplicare la capacità produttiva degli stampi di imbutitura.
Rimanevano comunque zone d’ombra sull’affidabilità degli stampi che dovevano essere sottoposti a manutenzioni sofisticate svolte da specialisti non sempre disponibili. Derivò pertanto l’esigenza di cercare delle regole che consentissero già in fase di progetto la definizione precisa delle parti di ricambio in modo da avere una ricambistica tale da non dover ricorrere a manutentori specializzati per gli adattamenti.
Nel 2016, alla fine dei tre anni di consulenza presso un’azienda estera dove ho raccolto dal vivo l’assoluta necessità di regole e parametri sicuri, ho ricominciato la ricerca. Nel biennio 2016-2018 mi sono dedicato allo scopo ottenendo i risultati che soddisfano le aspettative. La documentazione abbisogna di una idonea impaginazione per renderla fruibile.
Le fasi della ricerca
Questa lunga premessa era necessaria per parlare dello stato d’animo del ricercatore nelle fasi del lavoro. Nel mio caso il tempo va dal 1955 circa con i primi risultati concreti nel 1963. Successivamente con molti rallentamenti; sottolineo che la ricerca è stata tutta fatta fuori dal lavoro normale e spesso in segreto. Imperativo: non perdere tempo con cose che non siano certe. La ricerca è per statuto incerta.
È stata ripresa con più impegno tra il 2011 e il 2016 e a tempo pieno dal 2017/2018. Provo a descrivere l’evolversi dal 1955.
Innanzitutto analizzare la situazione del momento, esporre le esigenze, fissare gli obiettivi, le possibili applicazioni. Studiare le strategie per trasmettere le idee a chi doveva realizzarle: progettisti, costruttori, utilizzatori, facendola passare per routine. Quasi sempre erano soluzioni contraddittorie rispetto alle conoscenze correnti consolidate dal tempo, decenni. Le nuove soluzioni a volte abbisognavano di attrezzature ausiliarie per l’uso degli stampi, quindi investimenti certo non graditi dalla direzione generale su idee ancora non confermate!
1946-1955
Ora parlerò in prima persona per rivivere le sensazioni provate. Dal 1946 al 1955 ho vissuto il tempo dell’apprendistato quindi osservando il lavoro degli operai anziani esperti. Erano pochi, molti non erano tornati dalla guerra del 1940-1945 lasciando un vuoto generazionale. In questo periodo da parte mia era un continuo chiedere: perché si fa così? La risposta puntualmente era si è sempre fatto così. Più avanti nel tempo ho scoperto che spesso, molto spesso, la risposta era evasiva perché l’operaio anziano tendeva a tenere per sé le esperienze a supporto del proprio prestigio. Questo fenomeno mi ha accompagnato per tutta la carriera lavorativa in posti di comando, creandomi non poche difficoltà. Purtroppo questo atteggiamento di chiusura che tra colleghi di lavoro si riproponeva anche tra le aziende del settore, anche se giustificato dall’aspetto concorrenziale, ha creato compartimenti stagni al veicolare delle idee. Di questo fenomeno ho avuto conferma negli anni 2013-2018 quando ho intensificato i miei studi analizzando attrezzature, centinaia, di aziende diverse dove ho trovato lacune tecnologiche profonde e contemporaneamente qualche idea geniale relegata in un angolo, quasi nascosta. C’è il caso di un’idea davvero brillante applicata in modo appropriato in alcuni stampi e successivamente disattesa in altri sempre nella stessa azienda. Sembra quasi che l’inventore si sia dimenticato della funzione della sua idea. Oppure che l’avesse adottata per una funzione diversa senza accorgersi del potenziale della stessa.
Un fallimento risolutivo
Alla fine degli anni ‘50, ormai padrone del mestiere, ho dovuto risolvere un problema con un prodotto particolare e insolito. La soluzione trovata mi ha fatto intravedere di poterla applicare a un problema diverso, molto più importante. Pensavo di aver fatto la scoperta del secolo. Quando l’ho proposta i più erano increduli, mi è stato consentito di provarla. Fu un fiasco e grande gioia dei detrattori. Ho ingoiato il rospo. Rimanevo però convinto della bontà dell’idea. Se avessi avuto come interlocutore degli ingegneri/ricercatori avrebbero capito il concetto. Erano però, come me, semplici tecnici ancorati all’esistente. Perché non aveva funzionato? Durante la prova erano apparse delle contraddizioni.
Analizzandole a posteriori ho intuito la causa del fallimento. Ho approfittato della costruzione di uno stampo di un nuovo articolo per inserire la nuova idea da sommare alla precedente risultata negativa ottenendo un risultato strepitoso. Ci fu una polemica in coda al fatto: qualcuno che aveva partecipato alla costruzione dello stampo con la mia idea riferì l’inconsueta procedura alla direzione. Fui convocato per rendere ragione del mio operato. Di fronte all’esito, sia pure con imbarazzo, la direzione dovete ammettere la bontà del risultato. Da quel momento per vent’anni tutti gli stampi vennero costruiti con la nuova metodologia, centinaia.
Con la chiusura dell’azienda e il conseguente mio spostamento in altre, sempre dello stesso settore, ho potuto continuare sia pure in tono minore la ricerca. Nel 2017 ho ripreso la ricerca in modo sistematico attraverso migliaia di rilievi metrici su stampi esistenti di provenienza la più diversa, che mi hanno consentito finalmente la definizione di parametri utilizzabili per la progettazione di stampi tecnologicamente ed economicamente buoni.
Durante questa ricerca dal 1955 al 2018, quali sono stati i miei stati d’animo rispetto al susseguirsi degli eventi? È stato il tempo di capire, non certo in vista di scoprire l’America o il Bosone di Higgs, ma semplicemente di conoscere perché facevo il mio lavoro; con i limiti che ho soprascritto.
Anni incerti
Con l’aumentare delle mie responsabilità avevo l’esigenza di migliorare i mezzi di produzione. Cominciarono comunque le prime sperimentazioni, timide. Erano viste con sospetto dei compagni di lavoro e anche dai superiori. “Cosa vuole ‘sto sbarbatello!”. Si andava a toccare una consuetudine radicata profondamente. Ogni errore poteva essere fatale. Avevo una famiglia e anche numerosa.
Ho dedicato le mie energie per migliorare l’organizzazione del lavoro dove più evidenti erano le falle, mentre le tecnologie erano nelle mani dei vecchi soloni che difendevano il loro fortino con ogni mezzo, a volte anche sporco. Solo fatti eclatanti avrebbero potuto scacciarli. Come prima detto ho corso un grosso rischio con l’esperimento fallito seguito subito dopo, sia pure con un sotterfugio, all’imposizione della mia idea vincente. Forse ho avuto fortuna che le cose si siano svolte in una favorevole concomitanza.
Negli anni seguenti il 1985 ho applicato in più occasioni le mie idee tecniche ormai consolidate in diverse realtà produttive che attecchirono poco, tuttavia, perché il parco stampi di ogni azienda non può essere cambiato rapidamente, richiederebbe investimenti enormi oltre a dover sostituire consuetudine radicate come più volte detto. Solo gli stampi nuovi potevano nascere con i nuovi criteri. I vecchi dovevano finire per estinzione.
Inoltre ribadisco è molto meno faticoso coltivare il proprio orticello con i semi conosciuti da secoli che utilizzare semi OGM che, dicono, raddoppiano la produzione, in particolare se portate da un estraneo, consulente. Solo durante la mia consulenza del 2013/2016 all’estero ho portato le idee in un ambiente neutro che ha recepito l’idea non come una novità bensì perché si fa così.
Finalmente la conferma
Il periodo 2016-2018 è stato libero da qualsiasi condizionamento, di tempo disponibile e da persone terze. La ricerca perciò è stata fatta solo fine a se stessa. Per mesi ho continuato a incolonnare dati su dati provenienti da rilievi metrici su stampi esistenti, sembravano i pezzi di un puzzle mescolati senza né capo né coda. Solo la caparbia certezza che doveva esserci una chiave di lettura mi faceva continuare. Finché ci fu un momento, non ricordo quando e come, in cui due dati lontani tra loro avevano in comune un terzo dato. Da quel momento tutto fu facile. Si presentarono scogli e salite ma la vista dell’obiettivo aiutò a superarli. La cosa non è finita. È necessario mettere ordine alla mole di dati, ma è solo routine. Non ci sono dubbi sul traguardo.
Ecco lo stato d’animo durante e alla fine della ricerca a traguardo raggiunto: lunghi anni di indagini sono come i giorni di viaggio di Cristoforo Colombo con tempeste e bonacce asfissianti fino al grido: “Terraaaa, terraaaa”. Il tenue profilo della costa del nuovo continente.
Toni Schiavon, “Mi sono sbottonato!” Libro secondo, nr. 99