Inverno del 1952, era una giornata senza sole, ventosa e fredda. In cucina della mensa ufficiali del quartier generale dell’areonautica a Palermo c’era ben poco da fare, sapevamo che i grandi capi erano in missione. C’era calma piatta, perciò per il pasto il cuoco metteva insieme qualcosa senza pretese. Salvo non mi mettessi a lucidare l’argenteria, la qualcosa non mi attirava proprio, non mi restava che cercare un angolo appartato e leggere, sempre però a portata di voce del cuoco. Lui sapeva dove mi rintanavo quando non mi vedeva.
A dirla proprio tutta, era benevolo con me e mi lasciava leggere. Prima del pranzo degli ufficiali mi faceva mangiare, in un angolo della cucina, i piatti che aveva preparato e sui quali voleva un giudizio. Memorabili i bucatini con le sarde. I bucatini erano degli spaghettoni forati di 6 mm di diametro, la cui parete rimaneva comunque consistente. Nel sugo di condimento, piuttosto liquido, nuotavano grossi pezzi di sardine, capperi e un miscuglio segreto del cuoco. Sapevo che il tritato per il condimento era costituito da olive, un misto ben equilibrato di erbe odorose di quel territorio siculo e ben dotato, ovviamente olio, poche spezie, e qui il segreto del cuoco da me supposto: un macinato di salame pepato. Il risultato era sublime. Il sugo con il tritato segreto entrava nei bucatini e quando ne mettevi in bocca uno, arrotolato sulla forchetta, si sprigionavano i sapori complessi della Sicilia.
Torniamo con i piedi per terra. Nel corridoio incrocio il sergente Fontana, uno dei due autisti del generale comandante, l’altro, Moncada, era in missione con il capo; a bruciapelo mi chiede se voglio andare con lui a Marsala. Sono pronto rispondo, ero appena entrato e avevo la bustina, il berretto, ancora in mano. Chiedo al cuoco che mi dia il permesso. Evidentemente Fontana l’aveva già avvisato in quanto l’oggetto del viaggio lo riguardava, ma io non lo sapevo ancora. Si parte con un furgoncino. Le strade erano un tourbillon, in parte lo sono ancora, strade bianche sulle quali lasciavi una scia di polvere. Mi ricordo il monte sul quale sorge Erice, che tante volte avevao incontrato nelle mie letture del mondo antico greco.
Finalmente siamo sul territorio di Marsala, nelle vicinanze dell’idroporto militare, lo stagnone, così si chiama quel tratto di mare interno che, dato il tempo coperto e ventoso, sembrava una laguna veneta. Finalmente siamo alla meta: una grande cantina, botti ovunque, nonché enormi cisterne nel sottosuolo il cui accesso avveniva attraverso botole sul pavimento. Erano i fornitori anche del vino per la truppa. Riempimmo il furgoncino di damigiane, prima avevamo scaricato quelle vuote, segno che questi approvvigionamenti erano consuetudine, sempre a spese dell’areonautica militare. Questo inappropriato agire era ben poca cosa rispetto a quanto succedeva negli acquisti di viveri per la truppa; quando ero al C.A.R., un migliaio di commensali, gli acquisti erano cospicui. Durante gli acquisti dei prodotti freschi di giornata il maresciallo addetto trattava con i fornitori a viso aperto, non tanto i prezzi o la qualità dei prodotti, bensì il compenso di sua spettanza o dei suoi mandanti, quale ufficiale superiore, per aver scelto quel fornitore. Ho detto a cielo aperto perché, pur essendo sempre accompagnato da una recluta scelta a sorteggio ogni giorno, il controllore era ogni giorno diverso per non creare connivenza. Un giorno ero stato scelto io. Entrammo in un grande capannone pieno di verdura e frutta, e in una zona separata carnami e pesci, dove venivano preparate le porzioni personali per la truppa. Per altri viveri era incaricato un altro maresciallo. Il mio superiore mi dette qualche lira perché andassi nella vicina osteria a mangiare qualcosa. Io sorpreso me ne andai, in una panetteria mi presi pane e del salame e tornai svelto al capannone e ho assistito alla coda della trattativa del maresciallo col venditore. Successivamente mi disse “Tu non hai visto niente!”. Sapevo bene che una sola parola divulgata sarei finito a Lampedusa o in Sardegna come ho già detto in un altro scritto. Lampedusa e Sardegna circondate dal mare erano destinazioni davvero infelici per l’isolamento e quindi la noia, nonché la certezza di nessun permesso o licenza breve.
Torniamo alla cantina: ci fecero assaggiare del marsala con del pane ai canditi, proprio adeguati al freddo e al vento che c’erano fuori. Col furgone carico il sergente Fontana entrò in città, girò qua e là, il vento precludeva ogni idea di scendere dall’auto. Si infilò col furgone in un vicoletto, fermandosi davanti a un negozio di panetteria e dolci, salimmo una decina di scalini stretti e sconnessi ed entrammo in una stanzetta di una decina di metri quadrati piena all’inverosimile di merce. In una vetrinetta, tra altri dolci, c’era una pila di cannoli grossi e colanti zucchero e ricotta appena fatti, due furono sufficienti per riempirmi tanto erano grandi. Al ritorno a Palermo non ci siamo fermati per il pranzo.
Lo spunto per questo raccontino mi è stato dato da Franca. Stavamo andando al conservatorio Pollini per un concerto dei Solisti Veneti, eravamo in anticipo, una sosta al bar d’angolo tra via Altinate e via Cassan, era molto affollato, io mi sono fermato in coda alla cassa e vedo la mamma già seduta con un grosso cannolo tra i denti! Da qui il ricordo del negozietto di Marsala.
Toni Schiavon, “Mi sono sbottonato!” Libro secondo, nr. 164