Negli anni di guerra ogni settimana passava nel nostro piccolo quartiere in via Giambellino, otto case monofamiliari, uno straccivendolo al quale vendevamo le pelli di coniglio che mio papà metteva ad asciugare all’ombra perché non seccassero troppo in fretta, belle raschiate onde evitare che ammuffissero e chiodate su una tavola di legno.
Un giorno lo straccivendolo prima di andarsene si avvicinò, eravamo in tre ragazzini e ci disse sottovoce: ragazzi volete prendere un po’ di soldi? Portatemi qualche gatto vivo o morto, voi sapete dove abito, ne ho visto qualcuno di bello qui intorno. Se ne andò lasciandoci stupefatti. Il giorno dopo, superata la sorpresa, valutammo l’operazione e decidemmo di provarci. Abbiamo elaborato strategie di caccia, gli obiettivi, i tempi. Una caccia inutile e infruttuosa. I gatti di quei tempi non erano i mici da salotto e cibi in scatola, bensì da topi, pantegane e uccelli, erano scaltri e furbi, sopravvivevano a ben altre insidie che tre ragazzini.
Aggiungo una nota personale all’episodio. Da tempo volevo fare un regalino a una bimba, vicina di casa, di cui mi ero invaghito, avrà avuto 10-11 anni, come me altresì. Gli unici soldi di cui disponevo erano i dieci centesimi settimanali con i quali compravo, dopo la lezione di catechismo la domenica mattina, mezzo limone “macadeo” con inserito un bastoncino di liquirizia nera il cui abbinamento era delizioso. L’acquisto lo facevo dalla Fortunata, una vecchina piccola piccola che si metteva seduta sulla porta di casa sotto il primo portico di via Ognissanti-Belzoni, vicino alla chiesa degli Ognissanti. Teneva tra le gambe un cesto pieno della sua mercanzia: qualche frutto, ciuccetti vari, qualche biscotto fatto in casa e i citati limoni “macadei”. Era una festa.
Limone “macadeo” = un limone parzialmente guasto che la Fortunata tagliava per eliminare la parte guasta. Sulla parte buona metteva la liquirizia. La necessità aguzza l’ingegno.
Toni Schiavon, “Mi sono sbottonato!” Libro secondo, nr. 142