Da tempo sto riordinando documenti, carte di viaggio, relazioni di lavoro, fotografie, da un disordinato archivio di ricordi accumulati, con l’intenzione di farne una ordinata memoria. È un’impresa faticosa perché costringe la mia memoria scavare per coordinare i reperti. Ogni tanto mi concedo qualche divagazione quando trovo cose che quando le ho viste mi hanno colpito e perciò voglio fissare le emozioni con uno scritto.
Ho trovato una fotografia insignificante, poco chiara, di un ciotolo arrotondato levigato di una ventina di metri di diametro, ora protetto all’interno di una grande sala attrezzata in più livelli perché i visitatori possano ammirarla da vicino e da vari punti di vista. Cos’è che suscita tanto interesse? La superficie di questo ciotolone è ricoperta di scritte in una lingua o dialetto che vigeva in quel posto 2300 anni fa, forse sanscrito o da questo derivato.
È necessario spiegare di cosa si tratti: siamo nel 300 prima di Cristo in India. Un principe di uno staterello dei tanti che si dividevano il subcontinente asiatico, coraggioso e valente condottiero, Ashoka, in poco tempo, con una brillante e feroce strategia, conquistò tutta l’India e ne fece un impero. Cotanto fu brillante in guerra, così si dimostrò saggio, tollerante e benevolo nel governare popoli così diversi tra loro per lingua, cultura, costumi. Ancora oggi l’India ha circa 400 lingue e dialetti diversi, tanto che per avere un linguaggio comune comprensibile a tutti ha deciso di adottare la lingua inglese. Di fronte alla difficoltà di comunicare in modo univoco le sue leggi, gli atti amministrativi, in poche parole tenere insieme tanta diversità sociale a distanza di migliaia di chilometri, escogitò un modo che si è dimostrato inossidabile nel tempo: fece incidere le sue volontà, leggi, codici giuridici, morali e anche religiosi, ai quali era particolarmente sensibile, su dei massi, uno dei quali è sulla foto allegata, sparsi su tutto il territorio dell’impero, nel dialetto del luogo.
Non solo sui massi incise il suo Archivio di Stato, diremmo noi, ma utilizzò anche pilastri e colonne litiche, anche queste diffuse a questo scopo, che servivano anche per segnare la sua presenza con dei simboli. Il principale di questi è oggi il simbolo di tutta l’india, un capitello di colonna con tre teste leonine. Interesse particolare suscita la colonna di ferro che trovasi a Delhi, all’interno del sito del Qutb Minar, lo splendido minareto dell’evo arabo in India. La colonna fusa in ferro, evidentemente con altri elementi oltre il carbonio 2300 anni fa, continua a resistere alla corrosione degli elementi atmosferici.
La foto del masso inciso di scritti l’ho fatta in Gujarat nel mio quarto viaggio mentre la colonna in ferro l’ho vista nel mio primo viaggio, quello che mi ha stregato, che mi ha costretto a guardare l’India da un altro punto di vista che non conoscevo e che continuo a non conoscere. Infatti, quando credo di aver trovato una chiave di lettura di quel mondo, l’incredibile India, mi ritrovo sul piatto nuove contraddizioni da dipanare.
Toni Schiavon, “Mi sono sbottonato!” Libro secondo, nr. 150