Ieri non ho dato conto della situazione dopo tre mesi giusti da quando avevo cominciato questo diario. Sono stato preso da una nuova emergenza di nonna Franca, che ora è risoluzione.
Riprendo a parlare del virus allertato dalle notizie del nuovo focolaio a Pechino, delle ricadute in Corea del Sud, ritenuta la nazione più attenta del mondo e dei due casi positivi importati dalla Gran Bretagna in Nuova Zelanda. Questo paese all’inizio della pandemia aveva proceduto con prontezza e oculate chiusure delle attività, nonostante ciò è ricaduta. Dobbiamo trarre insegnamento: è giusto riaprire le attività accettando il rischio calcolato per salvare l’economia, tenendo però conto che una ricaduta sarebbe doppiamente rovinosa anche per l’economia stessa.
Completo il diario odierno con un ricordo. Sul settimanale 7 del Corriere della Sera ho trovato un articolo su Lech Walesa, il sindacalista che osò sfidare il partito comunista polacco dall’interno dei cantieri navali di Danzica. È ora un elettricista in pensione ma è stato una figura carismatica che portò la Polonia a ritrovare l’autonomia politica.
Nel 1995 in un viaggio in Polonia avevamo come meta la città di Zamoski, la Padova polacca. Il principe Zamoski, allievo dell’università di Padova, si innamorò della nostra città tanto da volerne costruire una copia chiamandola col proprio nome. Certo non è confrontabile, però presenta molte somiglianze, come le mura di cinta. Naturalmente il viaggio si allargò a tutto il paese fino appunto a Danzica, che dai suoi cantieri dai cui cantieri partì la fiamma che ha incendiato il paese, che si scrollò di dosso il giogo dell’URSS. Durante la visita ai cantieri, dinanzi al monumento che ricordava quell’evento, si respirava ben vivo lo spirito di Patria. Siamo passati davanti alla casetta con l’orto di Walesa, meta di continuo pellegrinaggio del popolo polacco.
Walesa non poteva immaginare che la sua opera sarebbe stata tanto importante da cambiare, con altre come Praga, l’Ungheria etc., la storia dell’Europa per gli anni a venire.