Siem Reap. Il grande lago che viene alimentato dalle piene del Mekong al culmine delle quali il lago tracima allagando campagna e foreste. Nell’antichità, nono secolo, al tempo della costruzione di Angkor, regnanti i Khmer, imponenti opere d’ingegneria idraulica regolavano i flussi idrici per l’irrigazione delle campagne ottenendo più raccolti di riso annuale. Le rovine di tali opere sono ancora visibili e vengono parzialmente utilizzate come lunghissimi argini che consentivano livelli delle acque diversi. Sono in atto timidi tentativi di ripristino.
Oltre all’agricoltura le acque consentivano una fiorente pescicoltura. Durante il rientro delle acque tracimate nel lago stesso, con particolari tecniche, il pesce veniva convogliato in grandi gabbie semoventi sempre immerse nelle acque che diventavano così magazzini di pesce vivo da immettere nel mercato gradualmente, oltre al fatto che il pesce continuava a crescere e a riprodursi.
Dirò ora di un altro modo di catturare il pesce, sussidiario al precedente. Nel ritirarsi le acque lasciano qua e là nella campagna fra gli alberi larghe pozze di acqua stagnante che vanno lentamente ad evaporare fino a diventare pozze di fango. Proprio in questa fase avviene la strana pesca. Un uomo seminudo entra nel fango e tasta con i piedi il fondo, quando sente la presenza del pesce immerge le mani e lo cattura infilzandolo con un grosso forchettone. Certo una pesca povera, per gente povera al margine della società. Questa specie di pesce ha realizzato un mutamento del suo apparato respiratorio per sopravvivere sul fondo fangoso in attesa della prossima inondazione e poter quindi riprodursi e continuare il ciclo della vita. Si potrebbe dire: adeguamento alle usanze che trovi, in questo caso “usanze” della natura, il ciclo delle piene del Mekong.
Toni Schiavon, “Mi sono sbottonato!” Libro secondo, nr. 152