Ho più volte parlato dell’economia del paese India. Dell’enorme potenziale umano disponibile per sviluppare la sua economia parallelamente a quella cinese. Visto dal mondo occidentale è uno tsunami che può travolgere la nostra economia matura, il nostro modo di vivere. Il potenziale umano coniugato agli enormi capitali interni ed esteri disponibili fa sì che per noi sia una battaglia perduta sul nascere. Mai come ora è vero il timore che già ipotizzò Mussolini parlando del “pericolo giallo”.
A me rimane un dubbio che ciò possa avvenire, per alcune osservazioni che ho potuto fare nei miei molti viaggi turistici e di lavoro in India. Ne cito uno che è di una semplicità tale da renderlo incredibile. Ne potrei citare molti altri altrettanto esplicativi. Siamo immersi nella vasta campagna gangetica, delimitata a nord da Agra, a est dalla riva destra del Gange, a sud da Lukonov. La nostra meta era Kampilia, un’antica capitale di cui si sono perse le tracce geografiche, solo i libri sacri ne fanno cenno. In riva ad un’ansa asciutta e abbandonata del Gange ci sono tracce di mura di un insediamento abitativo. Dirò di quanto ho osservato.
Il perimetro delle supposte mura è di 600 m per 400 m circa, il terreno è arido con arbusti alti poco più di un metro distanti tra loro un paio di metri. Sembrava che la distanza tra le piante fosse tale per garantire una disponibilità idrica di sopravvivenza. Al di sopra delle cime degli arbusti emergeva un uomo vestito di bianco col tipico lenzuolo incrociato tra le gambe e annodato al busto. Accompagnava una capra barbuta che lo seguiva passo passo. L’uomo teneva in mano un piccolo falcetto con il quale staccava qualche foglia da ogni arbusto e la porgeva a portata di bocca della capra. Questo quadretto di vita era surreale.
Certamente avrà avuto una sua logica che cercherò di immaginare. La prima domanda: perché la capra non prendeva da sé le foglie come fanno tutte le capre del mondo? Seconda: perché la capra nell’attesa che l’uomo le porgesse le foglie staccate col falcetto non approfittava per mangiarsi le altre da sola? Terza: perché l’uomo non prendeva le foglie da una sola pianta invece che poche foglie da ogni pianta? Quarto: Perché l’uomo pascolava una sola capra? In tali condizioni è evidente che il valore del suo lavoro, riferito al valore del latte di una sola capra è davvero insignificante. Le risposte che mi sono dato sono drammatiche.
Prima: l’uomo non poteva sfogliare di più gli arbusti per non comprometterne la riproduzione, visto il contesto semidesertico del suolo. Per lo stesso motivo non poteva lasciare la capra a pascolare perché in pochi giorni avrebbe fatto terra bruciata. Inoltre ha dovuto educare la capra a farsi imboccare. Questo è fantastico. Il quadro socio economico conseguente a quanto descritto è al limite della sopravvivenza ed è perciò incompatibile, a me pare, a farlo entrare in una strategia di confronto con le economie occidentali. Salvo non dare per scontato che i governanti non vogliano tenere una parte rilevante del paese in condizione di sottosviluppo, con lo scopo di utilizzarlo quale serbatoio di risorse umane da inserire al bisogno nel circuito competitivo esistente per ampliarlo.
Un gioco tanto sadico ha portato l’occidente alla rivoluzione francese, bolscevica, maoista, titoista, solo per citare le più evidenti. Con le conseguenze che ben conosciamo: le guerre mondiali. Potrà l’India evitare tale passaggio cruento e a quale prezzo? Non c’è dubbio che l’India, per una particolare visione della vita che ha il suo popolo, non si lascia facilmente decifrare, ma temo che i mezzi di comunicazione globali rieusciranno a fare breccia nella millenaria filosofia indiana, compromettendo l’incredibile equilibrio castale della sua società.
Toni Schiavon, “Mi sono sbottonato!” Libro secondo, nr. 147