Libro I Mi Sono Sbottonato!

Le BR

21 Maggio 2020

Ho sempre parlato poco e con molta ritrosia di quanto dirò in questo scritto. Perché non parlarne? Perché non ne ho parlato quando il fatto è accaduto? Sono passati trentacinque anni da allora. Perché nel frattempo non ho analizzato, non ho pensato alle motivazioni?

1969: volantino distribuito in Zedapa

Il tempo è quello dell’attentato all’ing. Taliercio di Mestre. Ero responsabile di produzione della Zedapa, erano tempi di continui scontri all’interno dell’azienda che sono ben descritti nella tesi di laurea di mia figlia Rita e più ancora nella copiosa letteratura emersa e accumulata per la stesura della stessa. Non solo documenti scritti ma, ben più importanti, le testimonianze dirette degli attori più significativi di quei giorni. Le descrizioni che questi testimoni hanno dato degli avvenimenti dicono del clima di tensione esistente tra le controparti, di cui io ero l’elemento di frizione principale per i compiti che ricoprivo, ma più ancora per come li ricoprivo, senza scendere mai a compromessi. Innanzitutto, relativamente al lavoro, non accettavo di subordinarlo alle ideologie del momento. Esplicito è sempre stato il mio motto di non voler sottoporre il mio operato ai condizionamenti imposti dalle forze in campo: bianche = Democrazia Cristiana, rosa = Partito Socialista, rosse = Partito Comunista. Mentre quel momento storico era vissuto come evoluzione sociale che non teneva conto del contesto produttivo che era invece il mio compito specifico.

Forse a farmi decidere a dare forma a questo mio difficile ricordo è stata la lettura del libro di Alberto Ronchey, “Libro bianco dell’ultima generazione” uscito nel 1978. Questa lettura mi ha consentito di attenuare quelle che ho sempre credute mie responsabilità: la mia intransigenza nel volere tenere separate ad ogni costo le esigenze tecniche del lavoro dai problemi sociali che a questo sono legati. Mi ha sempre accompagnato il dubbio che le mie scelte tecniche non fossero sempre le migliori. Lo stesso dubbio che le decisioni organizzative relative al lavoro, ma coinvolgenti le persone, non fossero le più giuste. Il libro di cui sopra mi dice invece che le cose che vivevo in quel momento dipendevano poco da me ma erano già state scritte nei trent’anni precedenti. Sottolineo però che il mio agire era solo mia responsabilità, della quale nulla ho da rimproverarmi. Mi rendevo conto però che tutto ciò che facevo era sotto la lente di ingrandimento dei miei “avversari” e quindi non passibile di ripensamenti.

Descrivo ora il percorso che ha portato all’ultimo atto della vicenda: il ricevimento di una busta con l’indirizzo scritto in stampatello da una mano con poca dimestichezza con la scrittura e assolutamente incerta. A volte penso fosse stata scritta volutamente in quel modo allo scopo di depistare. Aperta la busta ho trovato un foglio con una scritta composta da caratteri ritagliati da un giornale. Il testo mi consigliava di cambiare atteggiamento nei confronti della classe lavoratrice, altrimenti le mie gambe avrebbero avuto qualche problema. Nessuna firma.

La mia prima reazione fu di cestinare tutto, poi però ho ripreso il foglio, l’ho ben disteso e reimbustato. Volevo parlarne in azienda ma il clima era teso, per cui decisi di non dire nulla. Andai invece dai carabinieri in Prato della Valle, i quali non dettero molto peso alla cosa, forse ne avevano di più serie in quello scorcio di tempo, suggerendomi di adottare alcuni accorgimenti, quali cambiare spesso tragitto negli spostamenti, rilevare qualsiasi elemento anormale dentro e fuori dal posto di lavoro e riferire loro ogni sospetto.

Uno dei miei compiti era quello di sovraintendere anche la sede in ZIP e quindi mi recavo ogni giorno a ore diverse, comprese tra le 6 e le 22 e a volte anche di notte, a visitare il posto. Era ovvio che più di qualche volta ho trovato personale fuori posto o situazioni poco chiare. I responsabili dei turni avevano molte difficoltà a mantenere l’ordine nel clima sindacale di quei tempi, per cui il poco di disciplina che si poteva realizzare era tutta su quello che di persona potevo rilevare. Il citato Facchineri faceva del suo meglio per provocarmi e farmi perdere la pazienza. Proprio su costui ho fissato i miei sospetti, perché dopo il ricevimento della lettera ci guardavamo e, tacitamente, ci scambiavamo lunghi discorsi. Così a me pareva. Anche perché nella sede principale, dov’erano gli elementi politicamente più attivi e preparati, nulla di sospetto è emerso.

Il difficile è stato che tutta questa faccenda ho dovuto gestirmela da solo. In famiglia ho cercato di non far trapelare nulla.

Toni Schiavon, “Mi sono sbottonato!”, Libro I, pag. 127

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