Diari di Viaggio Libro II Mi Sono Sbottonato!

La bilancia da oppio

30 Maggio 2020

Da quando ho cominciato a muovermi, non dico viaggiare che è un modo di muoversi diversamente organizzato, quando trovavo qualcosa che attraeva la mia attenzione fosse un sasso, un fiore, una selce, me li portavo a casa e li mettevo in una scatola. Quando li rivedevo mi aiutavano a fantasticare. Anche quando ho cominciato a viaggiare ho mantenuto lo stesso uso rispetto agli oggetti che mi colpivano per le loro caratteristiche e o singolarità. Anche questi finivano in qualche scatolone con l’intento di archiviarli dopo averli catalogati. Purtroppo il tempo disponibile era tiranno e questi reperti sono stati dimenticati e archiviati alla rinfusa.
Finalmente ora il tempo è meno tirchio e quindi a volte mi fermo a rovistare tra i ricordi.

Laos, bilancia da oppio

Ho trovato una bilancina rudimentale, ma penso molto sensibile, per la pesatura dell’oppio all’utilizzatore finale. Tutt’altro che sofisticata, costruita con materiali disponibili in natura: due pezzetti di legno per il contenitore, un bastoncino di bambù graduato a fuoco, pochi centimetri di spago sottile, un pezzettino di piombo per contrappeso, il “marco”, un disco di sottile lamierino del diametro di 3 cm dove veniva depositata la polvere. Quando l’ho vista sono risalito al viaggio, al luogo, all’atmosfera di quel luogo.

Il paese era il Laos nel 2007, non mi dilungo a parlare della visita in generale bensì solo di quel momento che portò all’acquisto della bilancina. Viaggiavamo con due auto, una per noi sei, l’altra per i bagagli. La strada montana era tutta curve e stretta, però buona, si andava verso nord e la Cina, la meta Luang Prabang. Lungo la strada ci siamo fermati in un paesino di poche case dove c’era in corso il mercato in piazza, una confusione di persone e cose: frutta e verdura, carne affumicata ed essiccata, carcasse di roditori essiccati, roditori freschi con la loro la pelle e lunga coda tra i polli spennati, grilli, cavallette, larve, coleotteri fritti venduti in cartocci conici da sgranocchiare a mo’ di popcorn.

Fra questo bailamme un vecchio con tavolinetto metteva in mostra oggetti artigianali tra i quali c’era una specie di contenitore di violino di una ventina di cm. Visto il mio interesse l’uomo l’ha aperto mostrandomi l’originale bilancetta. L’ho comprata. Ora è in bella mostra sopra la mia scrivania. Per i miei studi e ricerche sulla tecnica di lavorazione del nastro metallico per fabbricare minuterie, relativi alla mia attività professionale, ho dovuto acquistare una bilancina di altissima precisione, al milligrammo, per orafi. Anche questa è sulla mia scrivania e quasi si toccano. Guardandole mi è venuto da fare delle considerazioni:

1. L’esigenza millesimale per entrambe. L’infinita differenza tecnologica tra le due, l’enorme evoluzione costruttiva dell’una rispetto all’altra. Penso comunque che la vecchia bilancina sia ancora in uso tra quelle remote montagne ai confini con la Cina.

2. come possiamo conciliare una società tribale con i suoi usi e costumi che sono necessariamente, forse anche per ragioni evolutive, diversi da quelli della nostra società? È evidente che quando diversità così radicali si incontrano creano un cortocircuito le cui conseguenze sono imprevedibili. Se grandi ideologie maturate in paesi più evoluti: comunismo, capitalismo e derivati diversamente interpretati, vengono esportate nei paesi ad organizzazione tribale non possono che finire in tragedia come fatti avvenuti e in corso dimostrano, Afghanistan, il mondo musulmano etc.

Il confronto tra questi due oggetti, le bilancine, ha evidenziato la complessità del convivere se non si è guidati da un ordine sociale che l’uomo non è ancora riuscito ad individuare nonostante la millenaria ricerca attraverso le religioni e le scuole filosofiche.

Per evidenziare il concetto di incompatibilità scrivo di un altro reperto relativo a quel viaggio: una boccettina di un liquido alcolico ricavato per distillazione dal riso. La boccettina è ancora chiusa ben sigillata, non l’ho aperta perché so che il contenuto è imbevibile come il luogo da cui arriva è surreale. Anche di questo dirò del processo produttivo, il contesto l’ho descritto nel diario di viaggio. Stavamo risalendo il Mekong, partendo da Luang Prabang per visitare una grotta tempio detta dei mille Buddha, scavata sull’argine del fiume. Il nostro accompagnatore propose di fare una fermata in un piccolo villaggio di cui era sindaco. La visita risultò interessante per più aspetti, come ho detto in altro scritto. Qui dirò solo della distilleria. Questa si trovava appena fuori del paese sotto alberi altissimi. Un capannone aperto con il tetto di lamiera, 10 x 40 m circa nel quale erano stipati grandi fusti da petrolio scoperchiati pieni di riso in macerazione da cui emanava un odore immondo. Sul fondo del capannone una caldaia sotto la quale, sulla nuda terra, bruciava un grosso tronco lungo 4-5 m che veniva fatto avanzare mana a mano che si consumava per combustione. Dalla caldaia uscivano una serie di tubi di rame che dopo molte evoluzioni e contorcimenti confluivano nella zona di raffreddamento e quindi nel tubo finale, dal quale usciva un rivolo trasparente cadente in un bidone di una ventina di litri. In un angolo del capannone alcune donne con un mestolo attingevano da una latta il liquido che travasavano in boccettine da 150 millilitri di recupero. Erano boccette di una bevanda energetica diffusa in tutto il Laos con tanto di etichetta del contenuto originario. L’unico contenuto tecnologico era il tappo e il modo di montarlo sulla bottiglia. L’uomo che gestiva il distillatore e il fuoco sembrava uno zombie. Il sentiero per raggiungere la distilleria era in sintonia con l’impianto. Era stretto e consentiva il transito ad una sola persona, tortuoso tra gli alberi, sconnesso per le radici affioranti, penso che con le piogge, piuttosto frequenti, sia intransitabile. Mi sono posto la domanda: questo prodotto quale mercato va a coprire? Per essere costretti ad un processo produttivo così povero i fruitori devono essere estremamente poveri. Quanto? Da qui le disparità sociali da cui nascono le rivoluzioni e poi le degenerazioni: Pol Pot.

Toni Schiavon, “Mi sono sbottonato!” Libro secondo, nr. 145

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