Nei primi anni di lavoro, appena fatta esperienza, imparavo in fretta ed ero adibito a lavori molto delicati e piccoli. Avevo una buona vista. Sul pavimento del mio posto di lavoro avevo un tavolato di legno perché nel caso mi fosse caduto di mano un pezzo che stavo lavorando non si sarebbe ammaccato sul pavimento di mattonelle di ceramica. Per la stessa ragione chi faceva questo lavoro prendeva l’abitudine, che con il tempo diventava automatica, di allungare il piede ad intercettare il corpo in caduta. In questo modo ho salvato molti lavori che costavano molte ore di lavoro. Ancora oggi, passati più di 70 anni, mi capita di allungare il piede se mi scappa di mano la caffettiera.
Passiamo al lato comico della cosa. Stavo prendendo dall’armadio di deposito uno stampo, trattasi di un blocco di piastra di acciaio di peso variabile, quello di cui parlo avrà pesato una trentina di chili. Non so spiegare il perché mi sia scappato di mano, ma cadde. Automaticamente, vedi sopra, allungai il piede per intercettarlo, cosa che feci in modo perfetto. Lo stampo con uno spigolo si piantò sul grosso scarpone militare che avevo al piede, forò la tomaia, il piede tra il terzo e il quarto dito, la suola e lasciò l’impronta sul pavimento di cemento. Un dolore incredibile, nessuna parte vitale lesa, una decina di giorni di zoppia, neanche un giorno di malattia. E sfottò a non finire.
Ora un altro incidente un po’ strano. Lavoravo al tornio, facevo lavori molto piccoli. Con una lima tonda ad ago di un paio di millimetri di diametro stavo sagomando un punzone di acciaio. Non so proprio dire la dinamica del fatto, la velocità del tornio era molto alta, ma mi ritrovai la lima ad ago lunga otto cm piantata per metà lunghezza nel dito medio
sinistro. Al di là del dolore, la sorpresa. Di corsa in infermeria, la ragazza non sa cosa fare, suggerisco di chiamare Egisto, un vecchio operaio che faceva volontariato in Croce Verde. Questi, vista la situazione, prese una pinza e con uno strappo netto sfilò la lima dal dito. Mezz’oretta in infermeria a digerire lo shock più che il dolore e poi in reparto.
La vita continua.
Toni Schiavon, “Mi sono sbottonato!” Libro secondo, nr. 156