Libro I Mi Sono Sbottonato!

Il bello delle letture

5 Maggio 2020

Da un po’ di tempo, prima di dormire, anziché prendere la camomilla mi faccio una dose di Divina Commedia! Con l’Inferno mezzo canto tra spiega- zioni e rime, col Purgatorio una sera le spiegazioni e i commenti di Sermonti, ora che sono in Paradiso qualche terzina e scende l’oblio. Proprio ieri sera, al canto decimo, i versi 136-138:

Essa è la luce etterna di Sigieri, che, leggendo nel Vico de li Strami, silogizzò invidiosi veri.

Torno alle spiegazioni di Sermonti il quale dice: “Sigieri insegnava alla Sorbona, l’Università da poco fondata la quale aveva i suoi edifici in un borgo popolare di Parigi, nel vicolo della Paglia o Vico degli Strami”. Niente di strano che anche a Parigi ci fosse un luogo deputato al commercio del fieno e della paglia. Ci sono ovunque, anche qui a Padova. Vado ora a raccontare un ricordo d’infanzia che lo collega alle letture dantesche.

Il Vicolo degli Strami

Durante il mio apprendistato contadino, uno dei miei compiti era pulire la stalla, le mucche, i vitelli e il cavallo. Asportare il letame, composto da feci e paglia, lavare il pavimento con acqua e ripristinare la lettiera con paglia e pula, il residuo che copre i grani del frumento, pulita. Una raccomandazione mi veniva fatta di continuo da mio nonno, di porre la massima attenzione, quando con la forca sparpagliavo la paglia, a non pungere le mucche: c’era il pericolo di provocare il tetano. Lo zio Nino e le zie quando mi chiedevano di prendere dal pagliaio la paglia, la chiamavano paglia. Mio nonno la chiamava strame: “Toi na forcà de strame!”.

Pensavo che gli zii fossero moderni e quindi dicessero paglia, mentre il nonno, vecchio, utilizzava una parola dialettale di chissà quale origine e magari inventata in seno alla comunità ristretta di quel luogo. Ma come Dante poteva conoscere un termine usato da una piccola comunità contadina sperduta nel territorio paludoso della Padania o al contrario, mio nonno, e solo lui e non i figli, come poteva conoscere un termine colto che aveva trovato asilo nel massimo libro della letteratura italiana e mondiale?

Già che sono in tema di Divina Commedia sempre al canto decimo, i versi 13-15: Vedi come da indi si dirama l’oblico cerchio che i pianeti porta, per sodisfare al mondo che li chiama che Sermonti traduce: “Se il mondo non avesse l’equatore inclinato di 23.30 gradi rispetto l’eclittica, non avremmo le stagioni e quindi il mondo sarebbe inabitabile”.

Mia interpretazione: portare il berretto sulle ventitrè rimanda all’origine cosmologica messa in evidenza da Dante e così trasferita a uso corrente?

Toni Schiavon, “Mi sono sbottonato!” libro primo, pagina 35

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