India. Il programma di quel giorno prevedeva la visita a una città abbandonata nella giungla. Ci fu raccomandato un abbigliamento protettivo in special modo per la parte inferiore del corpo per la presenza dei cobra. La zona che andavamo a visitare era spopolata. Le vie di comunicazione erano precarie. Viaggiavamo su pesanti fuoristrada. Naturalmente ci fu la solita signora che si presentò con l’infradito, in un gruppo non manca mai il furbo di turno!
Un paio d’ore di avvicinamento su un brullo altipiano. Ad un certo punto, pochi secondi, ho visto sul bordo della strada la carcassa di un grosso animale nero con intorno altri animali più piccoli. Al ritorno per la stessa via mi sono allertato per osservare meglio chiedendo all’autista di rallentare, ho visto la scena: si trattava di un grosso bufalo morto, proprio sul ciglio della strada, con il ventre squarciato e quattro cani scheletrici che banchettavano con testa e zampe anteriori dentro la pancia. È stata l’unica volta che ho avuto una risposta, quasi, alla domanda che ponevo ad ogni mio viaggio in India, ne ho fatti 19. Dove vanno a morire le vacche, animali sacri, di tutta l’India? Cosa fanno dei corpi?
Pur essendo ciò fin qui scritto relativo al titolo non è l’episodio più importante. La strada piuttosto rude finì sul ciglio di un vasto avvallamento coperto da una fitta giungla con basse alture e forre. Ci siamo incamminati su un largo sentiero in discesa e subito nel folto degli alberi, una vegetazione arborea per me insolita. Non ho un ricordo chiaro di quanto abbiamo camminato. All’improvviso in uno slargo, con pochi alberi, si presentò la città abbandonata, non certo dalle scimmie ,vere padrone del luogo. Mi è sembrata l’esatta ricostruzione della città nascosta del film di animazione tratto dal Libro della Giungla di Kipling. Ovvio che avrei dovuto dire l’inverso. Mi aspettavo di vedere apparire Mowgli con l’orso Baloo, la pantera nera Baghera e tutta la magica compagnia del mondo di Mowgli. Sul fondo dell’anfratto l’unico segno di vita era un piccolo tempio indù con le sue divinità incensate, infiorate, irrorate di latte e dolcetti, offerte dei fedeli e una piccola folla di questi in pellegrinaggio. Fu un’immersione in un mondo irreale.
Tornati sull’altopiano siamo andati a vedere i resti di altre costruzioni ma l’incanto della città abbandonata toglieva ogni interesse per altre cose. Siccome camminavamo tra l’erba alta abbiamo approfittato per spaventare la signora delle infradito dell’alta borghesia napoletana di origine borbonica. Fermo restando che per sicurezza in alcuni battevamo il sentiero per allontanare eventuali ospiti indesiderati.
Per analogia descrivo un episodio simile. Etiopia. Mancano pochi chilometri alla sponda del Lago Tana proprio dove inizia il suo emissario, il Nilo azzurro. Una buona strada asfaltata che attraversa la campagna un po’ meno addormentata e arida sinora vista. Il traffico era pressoché nullo. In lontananza vedo sul lato della strada un cumulo di forme in movimento, avvicinandoci abbiamo capito che erano grossi avvoltoi, forse una ventina, che stavano lacerando a suon di becco e mangiando la carne di una carcassa di gazzella. A una trentina di metri in mezzo a un campo un altro stormo di avvoltoi banchettavano su un’antilope. Ovviamente ci siamo fermati per fotografare l’evento. Qualcuno si era preoccupato di mettere dei grossi sassi a delimitare la zona affinché qualche mezzo non investisse gli avvoltoi. Subito ho chiesto: perché non hanno spostato la carcassa fuori dalla sede stradale evitando di recintare la zona? La causa della morte è stata con evidenza un incidente stradale dove una bestia è morta sul colpo, l’altra si è trascinata sul campo. Se fosse morta in centro alla strada sarebbe stato un guaio serio per il traffico, nessuno tocca la carcassa di un animale morto fuori dagli schemi rituali. Inoltre mi sono chiesto: perché mai non sono stati utilizzati gli animali a scopo alimentare? Per la stessa ragione di cui sopra, non sono stati macellati nel modo rituale.
Sono rimasto stupefatto di quanto usi e costumi, radicati nei millenni, condizionino il comportamento dell’homo sapiens. Qualche giorno prima avevo assistito ad un funerale in un piccolo villaggio, dove tutta la comunità partecipava con un complesso rituale, anche questo formatosi attraverso usi e costumi sovrapposti dalla cultura del popolo dalla notte dei tempi. È imprescindibile che per una pacifica convivenza dei popoli si debbano rispettare le diversità di ognuno. Qualora fossero inconciliabili prenderne atto e non pretendere di cambiarle con la forza. Non è detto che un giorno saremo noi i discriminati.
Toni Schiavon, “Mi sono sbottonato!” Libro secondo, nr. 153