Libro I Mi Sono Sbottonato!

Croce Verde

15 Maggio 2020

Volontariato
Seconda metà degli anni ’50. Ero di servizio notturno presso la Croce Verde di Padova una volta al mese, dalle 21.00 alle 7.00. Il turno cominciava con la cena conviviale, io ero il cuoco. Ovviamente mancava qualcuno perché di servizio, per i quali mettevamo da parte le porzioni adeguate. Verso le 23.00 si andava a dormire. Eravamo nella vecchia e storica sede di via Cesare Battisti che aveva visto nascere la “Pia Opera”, con le barelle di trasporto malati in bicicletta, con il paziente chiuso e legato dentro una specie di sarcofago.
Noi eravamo di molto evoluti, avevamo la vecchia “Carolina”. Era un’auto trasformata in ambulanza ed era utilizzata in particolare per i servizi notturni, mentre le altre due più moderne erano gelosamente tenute per i servizi diurni con gli autisti, due stipendiati.

Descriverò i tre servizi che più mi hanno impressionato, fra i tanti che ho svolto fino al 1980, anno in cui mi sono ritirato perché sono andato a lavorare in un’altra città.

Anni ‘60
Il primo servizio svolto la prima notte. Dormivamo nello stanzone le cui finestre davano sotto i portici di via Battisti. Il caposquadra mi chiama toccandomi una spalla, mi alzo e in un batter d’occhio sono pronto e via con la “Carolina”. L’autista ci dice che andiamo a Tencarola a prendere una donna. La casa è proprio a ridosso del ponte, a destra prima di attraversarlo. L’autista che è il più esperto entra in casa per il sopralluogo mentre noi due preleviamo la barella e ci incamminiamo su di un lungo poggiolo, ancora oggi presente, per entrare in casa. Operazione quanto mai complicata dati gli spazi ristretti. Aspettiamo disposizioni fuori dalla porta.
Dopo un tempo piuttosto lungo l’autista ci fa entrare senza barella, ci fa vedere la paziente, una signora molto vecchia che a lui sembrava morta ma che il marito ancora più anziano sollecitava che la portassimo all’ospedale. Decidemmo di portarla via e che al Pronto Soccorso avremmo detto che a noi sembrava solo appisolata anche se al tatto era ghiacciata.
Allora la situazione ci consentiva tali incompetenze. Non c’era il 118. È stato traumatico convivere con il cadavere. Questo fu il mio battesimo nel servizio di volontariato.

ambulanza della Croce Verde di Padova anni sessanta

Anni ‘70
Il secondo servizio è avvenuto d’inverno, in una notte di nebbia da tagliare con il coltello e un freddo cane. Sono le tre, suona il telefono nella stanzetta del caposquadra. Subito dopo mi tocca sulla spalla, mi alzo e mi infilo scarpe e paltò. L’autista era già pronto così come l’altro volontariato anziano, io ero il pivello. Con la vecchia ambulanza ci dirigiamo verso Maserà. L’informazione diceva di un incidente stradale in centro a Maserà. Con cautela arriviamo in centro a Maserà. Proprio all’incrocio con semaforo delle due strade Padova-Conselve e Piove-Monselice c’è un camion, che noi vediamo posteriormente con la cabina piantata nel muro dell’osteria d’angolo sulla destra. Il muso del camion era penetrato di un paio di metri tanto che era il tetto della cabina a sostenere il soffitto del secondo piano dell’osteria. Ci avviciniamo convinti di dover soccorrere l’autista; qualcuno ci dice che quest’ultimo è già stato portato all’ospedale da un’auto di passaggio. “Perché ci avete chiamati?” chiediamo all’oste che si era nel frattempo avvicinato.
Senza parlare ci invita a entrare, pensiamo voglia offrirci qualcosa di caldo dato il gran freddo. Entriamo, passiamo davanti al bancone senza fermarci e, nella stanza accanto, sorpresa. Di fronte vediamo la cabina del camion che tiene su il soffitto della stanza sovrastante, calando lo sguardo ecco, sotto un cumulo di pietre e calcinacci, una utilitaria schiacciata ed accorciata. Attraverso un pertugio nel finestrino rotto si intravedono due persone esanimi schiacciate tra i sedili e il cruscotto. Non potevamo fare nulla. Solo i pompieri, appena arrivati, potevano spostare il camion dopo aver messo in sicurezza il soffitto dato che il muro era crollato. I carabinieri ci hanno detto di aspettare di poter avere accesso ai corpi chiusi nell’auto nell’improbabile ipotesi che non fossero deceduti. Abbiamo spostato l’ambulanza in zona di sicurezza dai lavori dei pompieri, ci siamo arrotolati le coperte della barella addosso e tutti e tre vicini all’interno dell’autoambulanza a commentare e dormicchiare. Stava albeggiando quando un carabiniere è venuto a darci via libera al rientro. Il medico legale aveva appena decretato la morte dei passeggeri dell’auto. Il rientro è stato mesto.

Ancora anni ‘70
Il terzo servizio riguardava ancora un incidente stradale. Non ricordo l’ora. Forse primavera. Nei pressi di Casalserugo. Dev’essere stata notte inoltrata perché non c’era nessuno per la strada, anche sul luogo dell’incidente pochi curiosi. L’auto aveva piantato il muso sul fondo del fossato di lato alla strada. Le due porte laterali erano bloccate, il lunotto posteriore rotto attraverso il qua e vedevamo un giovane che ci diceva di una ragazza svenuta.

Non ricordo bene lo svolgersi dei fatti, so che dopo alcuni tentativi abbiamo tirato fuori dal finestrone posteriore rotto una ragazza svenuta mezza svestita, senza ferite apparenti. Appena posta sulla barella e caricata in ambulanza l’autista è partito a sirena spiegata dicendomi di tenere la bocca aperta e lingua fuori alla vittima.

Ero il volontario anziano dei due. Non sapevo come fare. Mi sono inginocchiato sopra la ragazza, sempre svenuta, con una mano tenevo la lingua, che continuava a sfuggirmi, e con l’altra tenevo la bocca aperta adoperando i denti come punto di tenuta, i denti della vittima. Eravamo ormai davanti alla scuola “Marconi” quando mi scappò di mano la presa che teneva la bocca aperta. Mi erano rimasti in mano quattro denti. Naturalmente c’era sangue dappertutto e quindi dovevo preoccuparmi di tenere la ragazza sul fianco perché non soffocasse per il sangue. Purtroppo ero solo, l’altro era in cabina con l’autista, pregavo di arrivare al più presto al Pronto Soccorso per togliermi la responsabilità di quella vita che gestivo con assoluta incompetenza. Per questo ho sempre sostenuto l’importanza del 118, che purtroppo è stato realizzato solo dopo molti anni.
Molti altri fatti ho vissuto forse, anche più importanti, ma questi mi hanno in qualche modo segnato.

Toni Schiavon, “Mi sono sbottonato!”, Libro I, pag. 133

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *