Il luogo, il cinema del patronato dell’Immacolata al Portello: vorrei dirvi qualcosa di questo singolare ritrovo domenicale dei bambini e ragazzi del quartiere Portello vero e proprio, le casette, e di quelli delle zone limitrofi di via Marzolo, le case operaie, e di Ognissanti. Giovinetti davvero vivaci, visto che trasformavano ogni domenica il cinema, la sala, in una arena nella quale operavano tori e toreri. La sala era divisa longitudinalmente da una fila di colonne, pertanto aveva due schermi sui quali, con un gioco di specchi, la proiezione della pellicola si realizzava in entrambi. Come naturale, a ogni momento cruciale del film battimani frenetici per i “buoni” oppure fischi e parolacce, piuttosto usuali nel parlare in borgata, se i “cattivi” prevalevano. Spesso la pellicola si rompeva e allora scoppiava il finimondo contro l’operatore di proiezione. Durante gli intervalli, oltre alle grida, ci si spostava e quindi c’era una confusione incredibile. A complicare le cose, sul fondo della sala c’era un secondo piano, un loggione dal quale venivano lanciati in platea ogni tipo di oggetti. Riassumendo, questo era il clima che aleggiava. Tutto questo si esaltava per quanto possibile e se possibile alla fine del film con la proiezione della comica finale, solitamente si trattava di “Ridolini”, personaggio tipico dell’epilogo.
Interessante notare che quanto succedeva durante la proiezione del film era lo specchio di quello che avveniva per l’acquisto dei biglietti. Già una mezz’ora prima della proiezione si formava un capannello che diventava sempre più numeroso mano a mano che si avvicinava l’ora di inizio, fino a diventare folla. Quando i battenti del portone ancora non erano del tutto aperti la fiumana di ragazzi si precipitava verso il gabbiotto biglietteria. Qui nascevano i primi scontri verbali e a volte fisici per la conquista del posto per l’acquisto. Era evidente che i sacerdoti responsabili del patronato e quindi del cinema ritenevano che quei comportamenti rientrassero nella normalità per quel momento storico del borgo. Quanto detto sopra a preambolo di quello che dirò ora.
In uno di quei film si parlava della Grande Guerra, 1915-1918, una guerra in cui i soldati italiani erano mandati a marcire e a morire nelle trincee del Carso, dell’Altipiano, sulle crode dolomitiche coperte di neve, poco o niente addestrati, molti avevano diciott’anni, e considerati carne da cannone, vittime di comandi militari incapaci e retrogradi. Ebbene, in una scena particolarmente drammatica il protagonista, Amedeo Nazzari, con i piedi nel fango del fondo della trincea, con un mozzicone di sigaretta fra le labbra, così cantava, con tristezza, mentre stava uscendo dalla trincea per affrontare il “nemico”:
“Coa cica in boca col goto pien, sotto chi toca quando la vien”
(Col mozzicone di sigaretta in bocca, col bicchiere pieno, avanti a chi tocca quando viene – la morte).
Questa frase non l’ho mai dimenticata!
Toni Schiavon, “Mi sono sbottonato!” Libro secondo, nr. 172